Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

venerdì 29 aprile 2011

DENUNCIATI 4 RAGAZZI CHE RICORDAVANO RAMELLI A BUSTO ARSIZIO! VERGOGNA!

Ancora una volta va in scena il festival dell'assurdità tutta italiana. E ancora una volta a farne le spese sono dei ragazzi che a vent'anni decidono di schierarsi a Destra, e che per questo pagano penalmente il loro impegno.

Nella notte tra giovedì e venerdì 29 Aprile 4 ragazzi, in zona cinque ponti, a Busto Arsizio, sono fermati dalla polizia mentre stanno appendendo uno striscione con la scritta "SERGIO RAMELLI PRESENTE! I CAMERATI", e sono portati in commissiariato.
La cosa che fa veramente ridere, se non piangere, è l'incriminazione per Apologia di Fascismo, che ora li vede denunciati a piede libero, solamente perchè all'interno dello striscione vi era una croce celtica.

Ci lamentiamo che la Polizia di Stato non ha mezzi, che nelle nostre città c'è poca sicurezza, che certe zone sono diventati dei ghetti dove regna la delinquenza, ma evidentemente, per fermare 4 ragazzi che appendono uno striscione in ricordo di un loro coetaneo morto ammazzato 36 anni fa, i mezzi ci sono, e le volanti accorrono subito. Siamo anche certi che la giustizia italiana farà il suo corso velocemente con questi pericolosi "neofascisti", mentre invece per chi stupra, ruba o uccide, la giustizia può attendere.. D'altronde un fascista è più pericoloso di uno stupratore o di uno spacciatore giusto?

Come possono le forze dell'ordine sperare di ricevere la fiducia dei giovani se il comportamento nei loro confronti è questo? Di recente abbiamo sentito di due carabinieri persi a bastonate da 4 ragazzi che uscivano ubriachi marci da un rave party. Solidarietà certamente a quei due carabinieri, ma noi di Destra, sappiamo bene, e il fatto di Busto Arsizio ne è la riprova, che molto spesso a farne le spese non sono coloro che guidano drogati o ubriachi dopo essersi sballati, nè coloro che spacciano nelle discoteche o fuori dalle scuole, ma i veri, reali, nemici della legalità sono dei giovani che appendono uno striscione a perenne ricordo dell'odio rosso.

Anche l'accusa, "apologia di fascismo", è quanto mai stupida. Una croce celtica sarebbe forse un'apologia di Fascismo???? La Croce celtica è innanzitutto una croce, simbolo della civiltà europea, e il Fascismo NON LA HA MAI UTILIZZATA. L'Irlanda, così come tutti i cimiteri del nord Europa, è piena di croci celtiche disseminate quà e là, nei cimiteri come nelle chiese. Vogliamo forse dire che in Irlanda siano tutti fascisti? Siamo al paradosso.

SOLIDARIETA' AI BUSTOCCHI DENUNCIATI.

SERGIO RAMELLI, PRESENTE! I CAMERATI.

giovedì 28 aprile 2011

Sergio, Enrico, Carlo. PRESENTI!

Il 29 Aprile è una giornata da ricordare per tutti noi militanti di Destra. Ben 3 persone in questo giorno, in anni diversi, hanno pagato col sangue le loro idee, e noi, ogni anno, li ricordiamo.

CARLO BORSANI
Carlo Borsani, figlio di un operaio, rimase orfano di padre in giovane età e visse per molto tempo in povertà. Con grandi sacrifici della madre riuscì ad iscriversi all'università, che però abbandonò nel 1940 per andare a combattere da volontario contro la Francia, guadagnandosi al termine della campagna una prima medaglia al valor militare.
Poco dopo aver scritto l'inno del suo reggimento fu inviato in Albania in vista dell'attacco alla Grecia.
Seppur gravemente ferito durante un assalto, Borsani continuò la battaglia venendo colpito da un colpo di mortaio che gli scoperchiò letteralmente il cranio. Dichiarato morto nello stesso giorno (9 marzo 1941), riuscì a riprendersi ma rimase completamente cieco: a causa di questo episodio fu decorato con una medaglia d'oro al valor militare e fu dichiarato mutilato di guerra e grande invalido.
Dopo l’8 settembre 1943, Carlo Borsani si schierò con la Repubblica Sociale Italiana, divenne presidente dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra, e la sera del 25 aprile 1945 la trascorre con i Marò della Decima MAS all'Albergo Nord in Piazza della Repubblica dove, al mattino, rifiuta l'offerta di un salvacondotto per espatriare e mettersi in salvo.
Si rifugia all'Istituto Oftalmico, ma il 27 dopo una spiata, viene catturato dai partigiani e rinchiuso nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. Nel pomeriggio del 29 aprile, insieme a don Calcagno, è condotto nelle Scuole di Viale Romagna e da lì in Piazzale Susa dove viene assassinato da un gruppo partigiano comunista con un colpo alla nuca.
Il suo cadavere fu gettato su un carretto della spazzatura e portato in giro per le vie dell'Ortica, Monluè e Città Studi, con il cartello "ex medaglia d'oro" appeso al collo.

SERGIO RAMELLI
Sergio Ramelli è un giovane militante del Fronte della Gioventù, frequentante l'istiuto tecnico per chimici "Molinari" a Milano. Il 13 marzo 1975 Ramelli era di ritorno alla sua abitazione, in via Amadeo; parcheggiato il suo motorino poco distante, si incamminò verso casa. All’altezza del civico 15 di detta via Paladini Ramelli fu assalito da un gruppo di persone armate, si seppe in seguito, di chiavi inglesi, e colpito ripetutamente al capo, alle spalle; a seguito dei colpi ricevuti perse i sensi e fu lasciato esangue al suolo in un bagno di sangue. Rimarrà in coma agonizzante fino al 29 Aprile, giorno della sua morte.

http://www.giovaneitalia.va.it/index.php?option=com_content&view=article&id=67:sergio-ramelli&catid=1:info

ENRICO PEDENOVI
Enrico Pedenovi,nato nel 1926, era un avvocato e uomo politico militante nell'MSI, partito per cui era anche consigliere alla Provincia di Milano. Alle 7.45 di mattina del 29 Aprile 1976 venne assalito in Viale Lombardia, dove abitava, da un gruppo di uomini armati. A bordo della propria automobile aveva percorso un centinaio di metri verso Piazza Durante, fermandosi ad un distributore di carburante.
Un commando di tre uomini, avevano atteso l'avvocato presso il distributore. Mentre l'uomo era a bordo dell'auto, il commando si avvicinò e aprì il fuoco contro la vettura, uccidendo Pedenovi, per poi fuggire. L'omicidio fu rivendicato dai Comitati Comunisti Rivoluzionari.

venerdì 22 aprile 2011

25 APRILE. UNA SCAMPAGNATA AL POSTO DEI CORTEI "RESISTENTI"!!!

Arriva puntuale come ogni anno la fatidica data del 25 aprile e, puntualmente, mi domando il senso di questa festa. A differenza di altre date simbolo della storia nazionale – penso al 2 giugno, al 4 novembre ed ora al 17 marzo – il 25 aprile suscita ancora polemiche e divisioni.

In una recente intervista televisiva lo storico Giovanni De Luna, ex militante di Lotta Continua, ammette che nei primi decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale questa festa non era affatto sentita. Sostanzialmente non era percepita nel Paese come data fondante del nuovo Stato italiano. Per comprendere il clima, nel 1955 in occasione del primo decennale della Liberazione, l’allora ministro della Pubblica Istruzione, il democristiano Ermini, emanò una circolare nella quale invitava le scuole a celebrare il 25 aprile la nascita di Guglielmo Marconi, dimenticando la Resistenza. De Luna ricorda che la retorica resistenziale del 25 aprile prese piede tra la fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70. Fu il Partito Comunista, e successivamente la galassia dei movimenti extraparlamentari di sinistra, ad affermare con forza la data del 25 aprile per appropriarsi i meriti della vittoria sul fascismo e per rilanciare il mito della “rivoluzione mancata”.

Tale data divide invece di unire perché ricorda la fine di una guerra civile che lacerò il Paese, persino le famiglie. Il 25 aprile metterebbe tutti d’accordo se fosse la festa della pacificazione nazionale, non la vittoria di una fazione sull’altra. E nessuno venga a raccontare che le due parti in lotta non possono essere equiparate in alcun modo. Tutti sanno che la parte maggioritaria della Resistenza, in particolare l’ala militare di matrice marxista, non voleva affatto l’attuale sistema democratico, ma l’instaurazione di uno Stato comunista più liberticida del regime fascista. Smettiamola anche di etichettare i giovani combattenti italiani dell’una e dell’altra parte come i portatori di lager e di gulag. La stragrande maggioranza di loro lottava per idee forti, sbagliate per alcuni, ma non certo per esportare l’industria dello sterminio sperimenta in Germania ed in Russia. Basta leggere le lettere dei condannati a morte sia della RSI che della Resistenza. Si parla di libertà, di onore, di patria. A volte si confonde l’appartenenza dell’autore.

Anche questo 25 aprile assisteremo al solito carnevale fuori stagione: cortei con tripudi di bandiere rosse, fazzoletti rossi, slogan rossi. I pochi tricolori in piazza hanno una bella stella rossa al centro. Insomma il 25 aprile è una festa rossa, sarebbe poco cortese pretendere di trasformarla in festa di tutti gli italiani. I commercianti di gadget con Lenin e Guevara subirebbero un danno economico considerevole.

Scusate se lancio un appello, in particolare ai giovani, da reato d’opinione: il 25 aprile disertate i cortei dell’odio e organizzate una piacevole scampagnata con gli amici.

Nelle piazze dei nostalgici (di tutte le età) della guerra civile trasuda un odio antifascista insopportabile. In quelle manifestazioni, promosse dall’Anpi e dai centri sociali, si esalta il lato più spregevole della Resistenza, quello dello scempio di Piazzale Loreto e delle stragi (a guerra finita) descritte da Giorgio Pisanò e Giampaolo Pansa. Sentiremo il solito disco rotto: “uccidere un fascista non è reato”, “coloreremo le nostre bandiere col sangue delle camicie nere”, “camerata basco nero il tuo posto è al cimitero”. Queste manifestazioni hanno fornito la giustificazione morale della caccia ai giovani di destra, decenni dopo la fine della guerra. Ramelli, Di Nella, i fratelli Mattei e tanti altri innocenti sono stati ammazzati per rinnovare l’odio santificato in piazza ogni 25 aprile. Ed in nome di quell’odio, che fa rima con idiozia, continua persino oggi l’accanimento contro chiunque militi a destra.

Credetemi, l’Italia migliore non la trovate in quelle piazze ma nelle scampagnate fuori porta, da nord a sud. In quelle gite c’è il Paese reale che certi politici, e tanti storici, non comprendono. È l’Italia che ha ritrovato la pacificazione nazionale nonostante la retorica del 25 aprile e l’antifascismo militante. È l’Italia profonda che, secondo Marcello Veneziani, ha caricato sulle sue spalle il fascismo riuscendo così a metterlo alle spalle: “Il fascismo non si può cancellare dalla storia, a partire dalla storia familiare di ciascuno di noi. Sare mo un Paese civile quando avremo dige rito il nostro passato e non ce lo tirere mo addosso per rinfacciarci colpe che noi non abbiamo”.

Si ritrovano, in quelle scampagnate, i figli ed i nipoti di chi fece scelte diverse. Ognuno con la sua storia personale e familiare che non rinnega. Si sta insieme, si mangia e si beve alla stessa tavola, si ride. Lì non c’è spazio per l’odio, non si augura la morte a nessuno. Si parla di calcio e politica, due questioni che non mettono mai d’accordo gli italiani. Ci si sente però, seppur nelle diversità, figli di una comune quanto complessa storia nazionale. Figli di una stessa Patria.

L’odio del 25 aprile è rosso, la scampagnata del 25 aprile è tricolore…

venerdì 15 aprile 2011

GIANNI ALEMANNO A VARESE PER LA CAMPAGNA ELETTORALE!


Si è trattenuto per più di un’ora a Varese ieri sera Gianni Alemanno, sindaco di Roma, nella splendida cornice dell’Ata Hotel dell’ippodromo di Varese. La sua presenza nella città giardino è stata resa possibile dal consigliere uscente, nonché vicecoordinatore cittadino del PDL Stefano Clerici, che, insieme ai ragazzi della Giovane Italia (movimento giovanile del Pdl) si sta impegnando a tempo pieno per la candidatura di Giacomo Cosentino al consiglio comunale.

Cosentino è attualmente consigliere uscente in circoscrizione 4 a Varese, e si candida adesso al consiglio comunale “per portare il mio entusiasmo da ragazzo poco più che ventenne, al servizio della comunità di Varese”. Il suo slogan è COSE PER CAMBIARE, e il suo programma elettorale, avvalendosi dell’esperienza acquisita in questi anni in circoscrizione, punta sui giovani, sul merito e sulla trasparenza, sulla sicurezza per i cittadini e sulle politiche sociali e culturali. Un applauso spontaneo è nato in sala quando il giovane ha citato, nel suo intervento, una frase di Paolo Borsellino, “chi ha paura muore ogni giorno, chi ha coraggio muore una volta sola”, che, insieme alla frase di Ezra Pound “L’unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azione!” sono alla base dell’agire e delle idee politiche di questo ragazzo di soli 24 anni, dei quali ben 10 trascorsi facendo militanza politica con il movimento giovanile di quella che fu Alleanza Nazionale.

Presenti all’evento anche l’europarlamentare Carlo Fidanza e l’onorevole Paola Frassinetti, mentre a fare gli onori di casa erano presenti l’assessore ai trasporti della Regione Lombardia Raffaele Cattaneo, oltre che il primo cittadino di Varese Attilio Fontana, che si ripresenterà per la coalizione PDL-Lega ancora come candidato sindaco.

Alemanno, parlando a braccio davanti a una platea di sostenitori di Cosentino, composta per lo più da giovani, ha ribadito l’importanza di valori fondamentali che devono costituire la base per chiunque faccia politica. “Non si possono affrontare problemi e sfide quotidiane, né tantomeno guardare al futuro senza alti ideali a sostegno della propria azione politica. Solo i forti valori identitari e comunitari possono essere di fondamentale importanza per guardare avanti”. Un tema questo, dei valori identitari, che è molto caro al sindaco di Roma e alla sua componente politica, tanto che insiste molto su questo punto, perchè “per affrontare le grandi sfide i valori della sinistra non servono e non bastano. La sinistra guarda al passato, e parla con un linguaggio del passato, senza passione, mentre invece bisogna accelerare il passo per far riprendere l’economia, per dare grandi speranze ai giovani, che vadano al di là del solo ottenimento del posto di lavoro, per farli sentire parte di un grande progetto per la Nazione, che coinvolga tutti, e sopratutto loro. E per fare questo l’unica via da percorrere possibile è quella che nasce partendo dai valori di Comunità e di Identità. Perchè ricordate, che il futuro, il domani, appartiene a noi”.

Nessun attrito poi con la Lega per quanto riguarda il valore della Patria perchè, spiega Alemanno, “identità nazionale e identità locale non sono in contraddizione, anzi! Sono proprio i mille campanilismi a formare l’Italia, poiché si parte dalla più piccola forma comunitaria, la famiglia, per passare poi al comune, alla regione, e alla Nazione”, e ancora sul voto a Varese “Fontana è un ottimo sindaco, sono sicuro che il centrodestra vincerà al primo turno, senza andare al ballottaggio”.
“Votate Cosentino – è l’invito di Alemanno – che è giovane, pieno di entusiasmo e sono sicuro che riuscirà ad essere eletto. Ricordate che i giovani una volta eletti non tradiscono, non spariscono, sono sempre lì, con i loro amici, disponibili ad ascoltare tutti, con la semplicità che un ragazzo di vent’anni può avere”.

Ai discorsi sono seguite strette di mano e tantissime foto fatte con i ragazzi e le altre persone presenti nel salone dell’hotel con un disponibilissimo Alemanno, che, sempre guardato a vista dalle sue guardie del corpo, si è lungamente fermato a parlare con tutti.

La serata si è conclusa poi alla Comunità Giovanile di Busto Arsizio, dove, tra una birra e una risata in compagnia, il sindaco della città capitolina ha dimostrato di essere una persona disponibilissima e alla mano, interessato alla realtà politica locale e del lavoro aggregativo e umano che la Comunità compie con il suo bar, la sua sala concerti e le sue iniziative comunitarie.

La Destra giovanile varesina supporta COSENTINO, e ringrazia il Gianni Alemanno per la sua vicinanza! Per una destra sociale e identitaria, vota COSENTINO alle prossime elezioni comunali di Varese città!


domenica 10 aprile 2011

ESPULSIONE IMMEDIATA PER GLI IMMIGRATI COLPEVOLI DI GRAVI REATI!

Un uomo di 53 anni, Walter Allavena di Ventimiglia e' intervenuto per difendere il figlio da un'aggressione ed e' stato ucciso a calci e pugni. L'omicidio e' avvenuto nella notte in localita' Torri a pochi chilometri da Ventimiglia. Secondo una prima sommaria ricostruzione Allavena e' stato accerchiato da un gruppo di alcuni romeni che prima avevano molestato il figlio ventenne, ed e' stato picchiato brutalmente. Quattro romeni sono stati fermati con l'accusa di omicidio preterintenzionale. I fermati hanno un'eta' tra i 19 e i 37 anni, tutti residenti nella zona di Ventimiglia. Ora, sara' l'esito dell'autopsia, che verra' fissata domani dal pm marco Zocco, a chiarire le cause del decesso.

Secondo quanto ricostruito tutto sarebbe iniziato quando il figlio ventenne della vittima, che si trovava in compagnia di alcuni amici, ha avuto una discussione - sembra a causa di un cane - con alcuni giovani. Tra i ragazzi ci sarebbe stata una piccola rissa, ma poi si sarebbero allontanati.

Gli immigrati tuttavia sarebbero tornati indietro fino a pochi metri da casa di Allavena, dove avrebbero rintracciato il ragazzo picchiandolo. Il padre del giovane sentendo le urla e' uscito dall'abitazione ed e' intervenuto per sedare il pestaggio. E' a quel punto che gli immigrati si sarebbero accaniti contro Walter Allavena.

"Sono arrivati in gruppo ieri sera verso le 23,30 mentre eravamo ad una festa di paese. Volevano attaccar briga. Erano ubriachi. Volevano toccare il nostro cane che si e' spaventato e per questo uno di noi lo ha preso in braccio. Poi hanno iniziato a picchiarci. Ce l'avevano soprattutto con Claudio, il figlio di Walter": all'uscita dal commissariato a parlare e' Luigi, uno degli amici di Claudio Allavena, il figlio di Walter, l'idraulico di 53 anni ucciso a calci e pugni mentre cercava di difendere il ragazzo. "Il papa' di Claudio e' sceso e allora sono andati addosso a lui e lo hanno picchiato", conclude Luigi. "Ho sentito le urla e mi sono precipitato per vedere cosa fosse successo, ma quando sono arrivato il corpo di mio cognato era gia' steso a terra": questa e' invece la testimonianza di un parente della vittima, Sergio Cortese. "Erano ubriachi e non sono del paese. Ho saputo che gia' la settimana scorsa dei romeni avrebbero avuto dei battibecchi con mio nipote Claudio e Walter stanotte era intervenuto per portarlo via". Tra le altre voci anche quella di Flavio Dario, intervenuto piu' volte per cercare di sedare la rissa "ho visto che picchiavano selvaggiamente Walter con calci e pugni. Non si fermavano. Walter e' caduto a terra. Ho chiamato il 118 ed ho cercato di rianimarlo seguendo le loro indicazioni, ma non c'e' stato niente da fare". Intanto tra gli abitanti di Torri, un borgo medievale di duecento anime, a pochi chilometri da Ventimiglia, c'e' sgomento per quanto accaduto. In molti stamani sono arrivati davanti all' "Osteria del nonno", il locale dove era in corso la festa e fuori dal quale e' iniziata l'aggressione che si e' conclusa ad un centinaio di metri, sotto l'abitazione degli Allavena.

"Era un gran lavoratore, un brav'uomo, che oltre a dedicare il tempo alla sua famiglia era impegnato nel volontariato e per la comunita'": cosi' la gente di Torri, piccolo borgo medievale a pochi chilometri da Ventimiglia, descrive Walter Allavena, di 53 anni, l'idraulico ucciso a calci e pugni mentre cercava di difendere il figlio da un gruppo di immigrati romeni. "Non e' solo una tragedia per questa famiglia, ma per tutti noi - dicono ancora -. In questo paese non e' mai successo niente. Qui dormiamo ancora con finestre e porte aperte. Sono venuti da fuori a creare problemi". E anche le voci su Claudio, figlio della vittima descrivono un giovane "serio, che non aveva mai creato problemi". In commissariato si continuano ad ascoltare dieci romeni. Tra loro c'e' anche un immigrato che abita a Torri con moglie e figli e che si sarebbe prodigato per cercare di sedare l'aggressione.

La Giovane Italia DA SEMPRE chiede sicurezza per la nostra gente, e sicurezza vuol dire punizioni esemplari per chi commette questi atti vigliacchi e crudeli. Sperando che il magistrato di turno non rimetta subito in libertà gli assassini rei di questo efferato omicidio, continueremo a chiedere, a gran voce, LA CERTEZZA DELLA PENA, e la ESPULSIONE DALL'ITALIA E RECLUSIONE AL PAESE D'ORIGINE PER GLI IMMIGRATI CONDANNATI PER REATI GRAVI. Chi arriva in Italia è ben accetto, ma le leggi vanno rispettate. Perciò, sperando che prima o poi i nostri governanti aprano gli occhi, noi non retrocederemo di un passo dalla nostra posizione sull'argomento.

PRIMA LA SICUREZZA DEGLI ITALIANI!

giovedì 7 aprile 2011

MAIMERI, IL MADE IN ITALY CHE RESISTE ALLA CINA.


«Da mio nonno, che in nome dell’arte seppe rinunciare ai privilegi, ho imparato una lezione importante: il profitto non è tutto, prima vengono la passione, l’onestà intellettuale e la cultura del lavoro».
Le parole sono di Gianni Maimeri, 52 anni, nipote omonimo di un maestro milanese della pittura degli anni Venti, nonchè fondatore dell’azienda di colori leader per le belle arti di cui Gianni Jr è oggi amministratore delegato. Gli uffici dell’industria di Mediglia sembrano stanze museali, con le pareti tappezzate di dipinti del nonno, lettere autografe di critici e intellettuali dell’epoca, e opere di artisti contemporanei che appartengono alla collezione di famiglia e della Fondazione intitolata all’artistai.
Nei capannoni della produzione, si apre l’immagine esotica di enormi fusti ricolmi dei pigmenti che riempiranno i tubetti esportati in tutto il mondo: blu oltremare, giallo di cadmio, rosso magenta, terra di Siena bruciata e via, in un infinito arcobaleno. Maimeri osserva le vasche colorate e mi spiega il suo concetto di etica: «Sa quanto costa un tubetto di colore fabbricato in Cina? Esattamente quanto uno dei nostri, ma vuoto. È per questo che tutti i nostri concorrenti internazionali delocalizzano la produzione in Estremo Oriente. Avremmo potuto aprire anche noi da quelle parti e invece con la stessa cifra abbiamo voluto installare qui il più moderno sistema di depurazione delle acque, anche se i nostri non sono rifiuti tossici».

Poi mostra una recente lettera del presidente Napolitano che lo ringrazia e si complimenta per l’agenda 2011 intitolata al primo articolo della Costituzione. All’interno, a corredo dei mesi e dei giorni, il fotografo Massimo Prizzon ha ritratto tutti i cento dipendenti intenti nelle loro attività quotidiane. Immagini poetiche in bianco e nero che «restituiscono il valore morale e pratico del produrre». L’unità d’Italia almeno per questa volta non c’entra.
«Mio padre Leone ed io abbiamo voluto tener fede a un’idea di legame indissolubile tra arte e industria. Il nonno nel 1923 mise in piedi la bottega per inventare i colori che gli permettessero di dipingere meglio. Questa esigenza fa parte del nostro Dna e ci ha portato a creare una fondazione che si occupa di promuovere, oltre che la sua opera, quella dei giovani artisti delle accademie di cui ascoltiamo i bisogni di innovazione. In gergo scientifico si chiama ricerca di base».

Sposato e padre di quattro figli, sogna una Milano che metta al primo posto il binomio lavoro e cultura. L’attività della fondazione, che istituisce anche mostre e premi per l’arte giovane, lo portano a contatto con i bisogni delle nuove generazioni. «Mi piacerebbe che, così come avviene in altre città europee, ci fosse una programmazione più lungimirante sul piano della valorizzazione delle eccellenze e dei nuovi talenti, che invece sono spesso gestiti da mano privata».
Poi c’è la qualità della vita. «Come cittadino e come padre mi attendevo di più anche dall’occasione Expo, e invece per quanto riguarda verde e inquinamento mi sembra che manchi ancora una strategia. Sul problema traffico, invece, sarebbe forse stato meglio investire nei parcheggi in periferia anzichè aprire cantieri in centro che poi si rivelano speculazioni». Per quanto riguarda il lavoro, rivendica la forza del made in Italy. «Chi sventola questo marchio spesso in realtà riserva solo una piccola parte della produzione al territorio nazionale. Il primo articolo della Costituzione non lo abbiamo citato invano perchè, malgrado la crisi, restiamo in Lombardia e continuiamo a incrementare le assunzioni. Oggi produciamo cinque milioni di pezzi all’anno di cui il 60 per cento del volume in esportazione. Ma alla qualità e al valore del lavoro non abbiamo mai rinunciato indipendentemente dagli obblighi di legge: quando avevamo solo 28 dipendenti abbiamo creato la mensa aziendale e, se oggi le norme Ue prevedono un margine di tolleranza del cinque per cento sul contenuto dei tubetti di colore, noi preferiamo sbagliare per eccesso».

L’eredità morale e artistica di nonno Maimeri pare un elemento inscindibile anche dalle strategie aziendali. Lo scorso anno, durante una serie di accordi commerciali con la Russia, la fondazione è stata invitata per due antologiche (attualmente in corso) all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo e alla Russian Art Academy di Mosca. Quantomeno curioso che un Paese straniero decida di celebrare un artista storico milanese che qui è quasi sconosciuto al grande pubblico. Ma non è escluso che presto anche le istituzioni meneghine riscoprano un grande pittore che certo scontò il suo essere controcorrente rispetto alle mode futuriste e alle convenzioni del regime. Come quando rifiutò con garbo l’invito di Margherita Sarfatti a dirigere l’Accademia Italiana delle Arti. O come quando si oppose fermamente al podestà sul progetto di copertura dei Navigli perchè offendeva l’identità del paesaggio milanese. Quando vide che la partita era ormai persa dipinse un ciclo di opere intitolato la «serie dei Navigli», a futura memoria. La serie fu acquistata dalle Distillerie Ramazzotti.
«Il nonno non volle mai prendere la tessera del partito e per questa ragione venne escluso da Biennali e Quadriennali incluse. Preferì essere libero e dipingere ciò che voleva». Cosa che non gli impedì nel ’29 di vincere la medaglia d’oro e il premio delle Comunicazioni alla Terza Esposizione del Paesaggio tenutasi a Bologna. Nè, naturalmente, di portare avanti la piccola azienda di colori che il figlio Leone avrebbe poi fatto decollare.

sabato 2 aprile 2011

CACCIATELO, E' UNO SCIENZIATO CATTOLICO!

Cacciatelo, crede nel disegno divino. An cora una volta sale questo coro contro Roberto de Mattei, vicepresidente del Cnr, studioso di valore ma cattolico inte grale. Ogni volta che il professor De Mat tei critica Darwin, l’evoluzionismo e il rela tivismo, combatte l’aborto e l’eutanasia, e infine sostiene che le catastrofi sono un castigo divino, i difensori della libertà e della tolleranza insorgono indignati non per criticarlo, come è comprensibile, ma per cacciarlo dal Cnr. La convinzione che le catastrofi siano un segno divino non è una trovata aber rante di de Mattei o di qualche setta inte gralista, ma è la fede che ha percorso per millenni non solo la dottrina cattolica, co me sostiene lo stesso de Mattei, ma le prin cipali tradizioni religiose del pianeta; ebraica, cristiana, islamica e pagana. In questi giorni si è parlato di collera divina e castigo celeste pure in Giappone, esente dai monoteismi.

È il rovescio della Divina Provvidenza: se credi che la mano divina intervenga pietosa nella storia, è coerente credere che intervenga anche per punire. Conosco de Mattei da una vita e mi ha sempre colpito, pur senza condividerla, la sua fedeltà intransigente alla dottrina cat tolica. Non riesco a pensare un Dio immer so nella storia che assegna terremoti e sal vataggi, premi e punizioni. Ma ha ancor meno senso una fede comoda e ruffiana con lieto fine, dove c’è il paradiso ma non c’è più l’inferno, o è vuoto. È uscito in questi giorni un film terribile, «Non lasciarmi», dove un gruppo di cloni umani viene allevato per fornire pezzi di ricambio all’umanità. Dopo gli espianti d’organi, le loro giovani vite «completa no » il loro corso, cioè muoiono. Ma quei cloni sono ragazzi e hanno emozioni, pen sieri, amori, anima. A pensarci, quel Dio crudele che manda catastrofi per liberare dal peccato è come quella Scienza crudele che manda a mori re le sue creature per liberare dalle malat tie.

Anche lo scientismo ateo ha le sue vitti me ed esige, come il Dio del Vecchio Testa mento, di sacrificare Isacco in suo nome. Che dite, cacciamo pure i ricercatori che credono nella Scienza assoluta, o più sag giamente puniamo le violazioni ma non le convinzioni?

Marcello Veneziani

venerdì 1 aprile 2011

ELOGIO DI MANTOVANO. I VALORI PRIMA DI TUTTO.


Questo dimettersi per coerenza, è tipico di Alfredo Mantovano che è una nota capatosta. Quando qualcosa urta i suoi principi, il sottosegretario all’Interno - ora, ex - deve reagire. Non c’è santo che tenga. Figurarsi poi se a stargli sul gozzo sono più cose, come nella vicenda di Manduria. Sarebbe già bastato a fargli saltare la mosca al naso che dei rifugiati nel centro di accoglienza anziché i 1.500 previsti, ne siano stati minacciati il doppio.

Mantovano aveva assicurato i manduriani (o manduriesi?), che sono anche suoi elettori, essendo deputato della Puglia, che tutto finiva con la prima infornata da Lampedusa. E quando un tipo come Alfredo ci mette la faccia è come zia Cecilia con la torta di mele: se va buca, ne soffre l’onore. A Manduria è però successo di peggio. Erano attesi profughi della guerra libica e sono arrivati invece tremila clandestini dalla Tunisia. Dunque, il doppio della folla e neanche quella in fuga dalle bombe, ma la solita infornata di senza permesso che ha preso Lampedusa per il pattino del bagnino. Tutta gente che, per legge, deve essere radunata in centri attrezzati antifuga, prima di essere rispedita in patria. Manduria invece è un colabrodo.
Per molto meno Alfredo avrebbe sbattuto il pugno sul tavolo, terminologia però inadatta a un politico calmo e misurato come lui. Mantovano è quello che vedete in tv: faccia da sfinge e argomentare da tritasassi. Parole pacate, occhi fermi e un erre moscia pugliese che ti dondola come un’amaca.

Questo austero personaggio sembra uscito dal reparto «Ragazzi modello» della bottega del Creatore. Nato a Lecce 53 anni fa, non ha nulla del barocco ghirigorato della sua città. Sotto ogni cielo, porta giacca e cravatta con l’aria di un gesuita in borghese. È timoratissimo di Dio, cattolico tradizionalista, ratzingeriano ante litteram. Si dichiara seguace del «pensiero forte», ossia fondato su valori eterni e non trattabili. È cofondatore di un’opera che prende appunto il nome di Dizionario del pensiero forte sui cui ha scritto di aborto (contro) e altri temi a cavallo tra etica e diritto. Un bacchettone coi fiocchi.

È stato magistrato e lo ha fatto all’antica. Non ha preso cantonate, non ha passato veline ai giornali, ha riflettuto prima di condannare. Con questi trascorsi, bacchetta oggi gli ex colleghi che si comportano all’opposto e abusano del potere come il satiro di una vergine. Li ha pubblicamente rimproverati di impicciarsi del talamo berlusconiano anziché agire contro la criminalità, di scrutare avidi le rotondità di Ruby e chiudere gli occhi sul casino che ci circonda.

Conservatore com’è, Alfredo ha scelto di militare prima nel Msi poi in An, all’epoca alfieri del passato. Ha debuttato alla Camera nel 1996 e all’istante - rara avis - ha rinunciato alla toga. Sua protettrice fu la concittadina Adriana Poli Bortone, futuro sindaco An di Lecce. Legò subito con Fini che poco dopo invece cominciò a litigare con Pinuccio Tatarella, che del medesimo Fini era il cervello e della Puglia il ras. Pinuccio iniziava a capire che Gianfry era un instabile e ne prendeva le distanze. Alfredo non fu altrettanto acuto e si lasciò utilizzare. Così, per indispettire Tatarella, Fini nominò Mantovano coordinatore di An per il Sud, facendolo crescere a detrimento dell’altro. Poi Pinuccio morì e Alfredo tornò in sé. Ma ne parliamo dopo.

Non vi meraviglierà sapere che Mantovano ha un lato battagliero e donchisciottesco. Alle elezioni politiche del 2001, anziché rientrare pigramente in Parlamento col recupero proporzionale, volle sfidare D’Alema nel collegio uninominale di Gallipoli. Un combattimento a tu per tu. Confrontato a un leader nazionale che l’anno prima era premier, Mantovano divenne a sua volta una star. Fece una bella battaglia, mostrò la sua oratoria e perse per appena tremila voti. Ma la vittoria morale, andò a lui. Tant’è che il Cav lo volle sottosegretario all’Interno nel suo governo 2001-2006. Così abbiamo cominciato a conoscerlo: documentato e baciapile. È tornato nelle stesse stanze nel 2008 dopo aver sfiorato la poltrona di guardasigilli in un testa a testa con Alfano. La «promozione» fallì per il veto di Fini.

E qui veniamo alla rottura con il capo. Ci fu quando Gianfry era già diventato antifascista, insofferente del Cav, fraterno di Casini e simpatizzante di D’Alema. Ma non avvenne sul terreno politico. Successe per motivi etico-religiosi. Ricorderete che nel 2005 ci furono quattro referendum abrogativi sulla procreazione assistita. Fini, che aveva ormai raggiunto lo stadio evolutivo del laico di tre cotte, si dichiarò per la procreazione artificiale contro i pii auspici di abati e monsignori. Da fedele del gregge del Signore, Alfredo si inalberò. Non poteva sopportare che il suo capo facesse di testa sua, influenzando pubblicamente l’elettorato e contro - a suo parere - i sentimenti maggioritari del centrodestra. E allora inaugurò quello che replica in queste ore: rimettere il mandato. Mantovano era all’epoca coordinatore di An in Puglia. Lasciò bruscamente l’incarico e fu irremovibile. Da allora, non ha avuto più ruoli nel partito. Oggi, è l’oscuro capo della corrente (una ventina di parlamentari) di Gianni Alemanno, sindaco della Capitale.

Per concludere. L’ex sottosegretario tra poltrona e faccia, sceglie la faccia. Se ora non cambia idea, ci molla da soli con gli altri. Quelli con la faccia di tolla e la poltrona attaccata con l’ossidrica. Ma che ti abbiamo fatto, Alfredo, per lasciarci orfani?