Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

martedì 11 dicembre 2012

Il disastro di Monti e le sue responsabilità sancite a livello internazionale

Poco più di un anno fa il Financial Times, uno dei più importanti quotidiani finanziari del mondo, si abbandonava ad un grido di dolore che era anche un anatema inappellabile, titolando a tutta pagina: “In nome di Dio, Berlusconi vattene”. Lo stesso giornale poco dopo salutò con entusiasmo ed elogi incondizionati l’avvento di Monti, definito pomposamente come “la spalla dell’Europa”.


Hanno avuto ragione: era la spalla sulla quale poi si sarebbe pianto. Il disastro combinato da Monti in poco più di un anno è tale che neanche i più fedeli tra i suoi aficionados sono ormai disposti a prenderne le difese, ma anzi si affrettano a prendere da lui lunghe distanze. All’FT bastarono poche settimane per ricredersi sul conto del premier-professore ritenuto, senza che nessuno sapesse dire perché, un tecnico valido, serio e che “avrebbe rimesso le cose a posto” perché ritenuto “refrattario alle strumentalizzazioni demagogiche e clientelari della politica italiana”. Dopo la sua nomina a premier la stampa internazionale cominciò a guardare alla politica montiana con ingiustificata, ma illimitata fiducia e poca cautela. Scriveva il FT :”Grandi tagli di spesa ed aumento delle tasse sono una cosa. Il vero test sarà però quello della liberalizzazione dell’economia. Qui si confronterà con pratiche restrittive e cartelli in cerca di rendite di posizione. Questa settimana le città italiane sono state paralizzate da tassisti e camionisti. Farmacisti, avvocati, benzinai sono sul piede di guerra, in difesa dei propri privilegi. Non sarà facile”. No, infatti per Monti la cosa più che difficile s’è rivelata impossibile. Già dopo la “unnecessary” riforma delle pensioni, corredata da errori la cui portata non è ancora possibile valutare, ma che col buco degli “esodati” supera la decina di milia rdi, e la scialba, pavida e rinunciataria riforma delle professioni, il quotidiano della City londinese scrisse con sarcasmo : “Se Monti è questo, chiediamo scusa a Berlusconi”.

Il Wall Street Journal, altro giornale che vide di buon occhio la nomina di Monti si spinse più in là, ed in un editoriale dal titolo “Surrender, Italian Style”, cioè “Resa all’Italiana” riferendosi alle concessioni fatte alla Fornero da Monti nella presunta riforma del lavoro, arrivò a chiedere scusa ai propri lettori, affermando che circa le qualità del neo-premier italiano s’erano semplicemente sbagliati, avevano preso un abbaglio. Più tardi il FT tornò a chiosare sul percorso che ci si aspettava che Monti percorresse : “La sfida da fronteggiare, quella cristallizzata dalla crisi congenita dell’euro come moneta unica, mentre i padroni della politica e dell’economia polemizzano sui meriti o i demeriti della svalutazione, o dei giochi d’equilibrio fra rettitudine fiscale e politiche espansive della domanda, è se l’Europa può ancora competere in un mondo nel quale non è più in grado di controllare le oscillazioni dei cambi. In questa funzione Monti può svolgere un ruolo essenziale”. Vero, l’ha fatto, ha svolto un ruolo essenziale, ma a favore della Germania e dei nordeuropei in genere, tradendo il suo Paese. Già a fine anno scorso le prime critiche a Monti del FT che sentenziava : “I piani economici di Monti sono avvolti nella nebbia”. Critiche che sono divenute dei veri atti d’accusa quando s’è dimostrato che Monti aveva solo mirato ad introdurre quel rigore preteso dalla Merkel e dalla Ue, rinunciando a quella azione incisiva per il rilancio dell’economia italiana ed europea auspicata da mezzo mondo, dal Giappone agli Usa, dalla Cina al Regno Unito e che tutti si aspettavano. Ed adesso che Monti ha gettato l’Italia in un baratro, ecco che lui scappa inseguito dalle accuse di quelli che erano i suoi più solerti sostenitori. Caustico il FT qualche giorno fa, che neanche si sofferma più su Monti, ma parla vagamente di “governo italiano, formato da burocrati che pensano solo all’Europa”. Bordate sorprendenti e inaspettate quelle del quotidiano londinese che spiega: “quello italiano è un governo litigioso, con una burocrazia radicata e inestirpabile e un primo ministro focalizzato solo sulla scena internazionale.


I problemi interni dell’Italia sembrano crescere e andare oltre la capacità del suo governo tecnocrate di risolverli, anche in vista dell’aggravarsi della crisi del debito nell’Eurozona”. Guy Dinmore, in un durissimo fondo, cita lo scontro nell’esecutivo tra il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, e i suoi colleghi sulle riforme necessarie per la crescita e lo sviluppo. Quindi il FT attribuisce ad una fonte governativa che vuole restare anonima: “Oggi siamo alla resa dei conti, al tutti contro tutti. C’è motivo di credere che si stia entrando nella fase tre della vita dell’esecutivo, quella delle recriminazioni, dopo un’iniziale luna di miele e il successivo ritorno alla vita vera”. Poi l’affondo finale del quotidiano inglese che è una pietra tombale sul governo di Monti: ”L’Italia è nelle mani di burocrati che stanno combattendo non a favore, ma contro il cambiamento, nonché in quelle di un primo ministro che non si decide a fare i passi decisivi. I mercati – aggiunge Dinmore riferendosi alle riforme promesse, ma tutte mancate, dal taglio delle province alla fiscalità, dalla burocrazia alla giustizia – si renderanno conto a un certo punto che l’Italia non ha fatto molto e che la capacità del governo di spingere importanti, ma impopolari, riforme strutturali in Parlamento, s’è azzerata”. Parole che pesano come piombo e che danno il giusto rilievo ai reali fattori che considerano gli investitori quando si muovono sui mercati.

Ancora più esplicito il dissenso del Corsera, un giornale sinora montiano al di sopra di ogni sospetto, che parla apertamente e duramente di “governo che ha preso la direzione sbagliata”. In un editoriale firmato dalla coppia Alesina-Giavazzi, il quale ultimo ricordiamo era stato sul punto di essere cooptato dal governo Monti, il Corsera sembra bocciare Monti senza alcuna possibilità d’appello “il cui sforzo riformatore è stato un vero fallimento. Molti osservatori (internazionali, ndr) sono rimasti perplessi e si chiedono in che direzione si muoverà il governo Monti. A noi pare che si vada nella direzione sbagliata”. Bene. Ora a noi sembra incredibile che a grandi esperti della finanza dell’economia e della politica ci sia voluto un anno, immani sacrifici da parte della gente, il dissesto totale del Paese, della sua società, della sua economia per rendersi conto di una cosa che noi nel nostro piccolo avevamo denunciato da subito e più volte ribadito.

Era infatti evidente, al di là dell’imbroglio e del ricatto dello spread, che guarda caso nessuno di quelli che adesso accusano Monti tira più in ballo, che il nodo della questione non fosse tanto il disavanzo pubblico, quanto il rilancio e la crescita dell’economia per farvi fronte. I debiti si ripagano creando ricchezza dalla quale trarre le risorse per il welfare, per ridurre l’indebitamento, per sostenere la crescita della società. Monti ha invece seguito un disegno perverso: siccome per molto tempo abbiamo vissuto al di là delle nostre reali possibilità, ed è vero, adesso dobbiamo chiudere i rubinetti e rinunciare a tutto quello che avevamo, dalla sanità all’occupazione, dalla scuola ai trasporti, il che è assolutamente assurdo. Un disegno politicamente folle che privilegia una recessione irreversibile ed irrimediabile, anziché creare quella svolta che era nelle attese di tutti dentro e fuori i confini nazionali. Il vero dramma dell’Italia non è quello di avere un debito di 2mila miliardi, ma che questo debito sia stato fatto per alimentare sprechi, clientele, corruzione, spese ed opere inutili. Se i soldi fossero stati spesi per ammodernare lo stato, migliorare la formazione delle nuove leve, informatizzare il Paese, eliminare la burocrazia, ridurre le tasse e sostenere i consumi, mettere in piedi un sistema giudiziale equo, rapido ed efficiente, per migliorare il sistema pensionistico, e le grandi infrastrutture di base quei 2mila miliardi costituirebbero oggi solo una curiosità contabile. Il dramma è che siamo sommersi di debiti nel momento in cui disponiamo di un sistema produttivo esausto, spesso obsoleto e con una efficienza non all’altezza dei tempi e della competizione globale, per cui non abbiamo più le risorse per dare vita alla crescita ed a tutte le riforme ad essa necessarie. Era in questa direzione che si sarebbe dovuto muovere un governo di competenti tecnici. Ed è qui che Monti ha clamorosamente fallito come adesso pare si siano scatenati tutti a contestargli. A cominciare dal Corsera che sottolinea come “il provvedimento più importante che il governo si appresta a varare riguarda le infrastrutture, ma non è questa la priorità dell’Italia, cui servono infrastrutture di altro tipo: una giustizia veloce, certezza del diritto, regolamenti snelli, un’amministrazione pubblica che faccia il suo dovere e non imponga costi enormi a cittadini e imprese, un’università che produca buon capitale umano e buona ricerca, ed una lotta efficace alla criminalità organizzata”. Infine l’ultima bordata: “Ciò che il governo oggi sta discutendo ci pare, purtroppo, molto più simile alla vecchia politica che alla ventata innovatrice che respirammo (in effetti che speravano di poter respirare, ndr) per qualche settimana lo scorso novembre”. Tornando quindi alla domanda sul dove vada Monti la risposta è semplice: Monti non andrà da nessuna parte, ma piuttosto, con la stessa vigliaccheria con la quale ha finto di governare l’Italia, mentre invece assecondava gli interessi suoi personali e quelli dei nemici del Paese, scapperà. Scapperà dalle voragini create nella finanza per decine di miliardi di euro, nella previdenza con un numero ancora non definibile di “esodati”, scapperà da una cambiale da 45 miliardi scadenza 2013 che lui ha firmato alla Merkel, scapperà dal mare di precari e disoccupati che ha creato, scapperà da sistemi fatiscenti nella scuola e nella sanità che invece di risanare ha affossato con tagli scellerati, scapperà da un sistema produttivo che il mondo ci invidiava, ma che lui ha messo in ginocchio, scapperà da un debito irresponsabilmente dilatato a dismisura, scapperà da riforme che non è stato capace neanche di abbozzare, scapperà dalla depauperazione del patrimonio nazionale con l’attacco ai risparmi ed il deprezzamento immobiliare. Scapperà dalla sua presunzione, dalla sua spocchiosa prosopopea ora che tutti hanno avuto la misura del suo rigorismo bilderberghiano salva-banche. E adesso che se ne va, saremmo tutti disposti a firmare se, chi sarà chiamato a sostituirlo, in un anno facesse crescere la produzione industriale del 12 %, l’occupazione del 40%, il Pil del 3 %, se l’indebitamento fosse ridotto del 6 %, se i precari diminuissero del 25 %, se le tasse diminuissero del 30%. Se tutto questo succedesse staremmo esattamente come stavamo un anno fa, né più, né meno. Per fare questo, occorre che il nuovo governo si impegni a smontare pezzo per pezzo, come sostiene il Financial Times, il puzzle messo insieme dal prof ex bocconiano. E’ questo, più di ogni altro commento, a dare la misura del disastro provocato da Monti.

mercoledì 10 ottobre 2012

Le PUSSY RIOT: la degenerazione di un secolo

“Non si possono minare le fondamenta morali della Russia né si può distruggere il Paese: altrimenti cosa ci resterebbe?” Vladimir Putin sul caso delle Pussy Riot

Lunedì, il giornale francese “Le Monde” dedicava testardamente un ennesimo articolo alle “gesta eroiche” delle Pussy Riot (“Rivolta della Fica”). L’ennesimo articolo insipido in difesa della “preghiera anti Putin” fatta all’interno della cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca; un ennesimo articolo in difesa di quelle tre povere ragazze divorate “dall’orco” Vladimir Putin; un ennesimo articolo in difesa di un certo tipo di “libertà di espressione”.

Fino allo sfinimento, le grandi testate giornalistiche continueranno a criticare una decisione percepita come “assurda” nel mondo occidentale: decisione che, se analizzata un attimo e a sangue freddo, non sembra poi così esagerata. Cerchiamo quindi di capire e di smontare il mito delle “Rivolta della Fica”. La condanna emessa dal tribunale di Mosca è chiara: due anni di carcere e di lavori, con l’accusa di vandalismo fomentato da odio religioso. Di vandalismo ce n’è stato, e di odio religioso pure: l’accusa in sé regge. La condanna poteva arrivare fino a sette anni, e anche se tutte le previsioni davano almeno tre anni di carcere, alla fine le tre ragazze hanno preso solo due anni. L’atto in sé, era scandaloso: una preghiera politica contenente blasfemi (“Putin è la merda del Signore” dixit oppure “Madre di Dio diventa femminista” dixit) cantata in chiesa avrebbe fatto scattare l’arresto in qualsiasi paese del mondo. Su questo non c’è nessun dubbio. L’odio contro la religione è chiarissimo. Non è un caso che un altro gruppo di sedicenti attiviste femministe, FEMEN, che ha come caratteristica principale quella di mostrare il proprio corpo nudo (?!?) durante qualsiasi azione, dopo la condanna delle loro sorelle ha tagliato una croce di legno posta in memoria delle vittime dello stalinismo ="http://www.youtube.com/watch?v=RifhGKaDEt).

L’ipocrisia maggiore consiste a dire che nei nostri paesi, non sarebbe scattata la condanna: prendiamo come esempio gli Stati Uniti (i più critici verso il verdetto sulle Pussy Riot). Pensate veramente che, se un gruppo di ragazzi si fosse addentrato in una chiesa del sud – est americano, anzi meglio ancora in una sinagoga nel centro di Manhattan, requisendo l’altare, gridando come dei forsennati, disturbando i credenti, insultando con l’atto e con le parole personaggi politici (come Obama o Netanyahu), sarebbe ancora in vita per raccontarlo? Non possiamo esserne tanto sicuri. Proprio in quel periodo, girava la notizia di un poveraccio atterrato da tre colpi di pistola a Time Square, sotto gli occhi di tutti, perché aveva rubato una sciocchezza nel supermercato vicino. Idem con il movimento Occupy che ha sofferto calci e botte per essersi appropriato di spazi pubblici “senza permesso”, e che conta alcuni attivisti “comodamente” installati in carceri americane… Come si permettono gli Stati Uniti di criticare le faccende altrui quando la situazione a casa loro non è limpida? Come si permette Hillary Clinton, di criticare il giudizio di un tribunale russo?

Ricordiamoci che lo stesso giorno in cui è comparso il verdetto del tribunale di Mosca, la Gran Bretagna (sotto ordini americani) chiedeva l’arresto coatto di Julian Assange e minacciava democraticamente l’ambasciata dell’Ecuador di una possibile introduzione manu militari per catturare il fondatore di Wikileaks, contravvenendo senza scrupolo alcuno alla regole dell’extraterritorialità delle ambasciate straniere. Eppure, il mondo pensava alle Pussy Riot… quanta ipocrisia. Vi è un altro fatto interessante: le “Rivolta della Fica”, considerate come “artiste sui generis”, di artistico hanno poco o nulla. Nel passato recente, il gruppo organizzò altre azioni trash a dir poco rivoltanti. Il gruppo sedicente anarchico “Voina”, di cui le tre ragazze condannate fanno tutte parte, organizzò orge sessuali in luoghi pubblici famoso il caso del museo delle scienze, e altre azioni deplorevoli (celebre anche il “pollo nella vagina”, http://www.youtube.com/watch?v=vGk5L1bjoTw"). Non è la prima volta che queste ragazze compiono azioni contro Putin, ergo Putin le lasciò andare più volte (anche nel caso dell’orgia pubblica) senza troppi problemi.

Qui è diverso, la libertà di manifestare di alcune sbandate ha calpestato la libertà di culto di altri, e si sa: la libertà degli uni finisce quando la libertà degli altri comincia. Comunque sia, delle pazze scatenate di questo calibro sarebbero isolate nelle nostre società, eppure quando si tratta di attaccare i nemici di sempre (in questo caso la Russia di Putin) che guarda caso hanno ricominciato a giocare un ruolo attivo nello scacchiere internazionale (ad esempio nella partita siriana), delle degenerate diventano il simbolo della libertà del mondo. La verità è di ben’altro tipo: le Pussy Riot sono un semplice strumento per criticare, aggredire, e intimidire la Russia di Putin. Quando, infatti, si cerca più a fondo, si trovano dettagli interessanti che non appaiono sulle grandi testate mainstream. In un’altra apparizione, le “Rivolta della Fica” brandirono una bandiera dell’OTPOR, organizzazione finanziata dalla Freedom House (fondata da James Woolsey, ex – direttore della CIA) e dalla Open Society Institute (fondata da George Soros…). Ed ecco che l’inciucio è svelato: l’OTPOR (che controlla anche il collettivo nudista FEMEN), è una di quelle organizzazioni che hanno partecipato al colpo di stato contro Chavez, alla caduta della Serbia di Milosevic, e a tante altre azioni politiche etero dirette. Insomma, un’organizzazione di regime.

fonte: di Roberto Saverio Caponera http://www.lintellettualedissidente.it/le-pussy-riot-la-degenerazione-di-un-secolo/

martedì 4 settembre 2012

Nozze gay si? Perchè incesto e pedofilia no?

Le coppie omosessuali chiedono con sempre maggiore pressione che lo Stato riconosca le loro relazioni romantiche tra persone adulte e consenzienti. Il matrimonio ovviamente non è un diritto né per gli eterosessuali né per gli omosessuali, tuttavia la richiesta di queste persone è legittima (ognuno può liberamente chiedere che un suo desiderio venga riconosciuto), alcuni governi hanno accettato altri no. Fortunatamente anche l’icona gay del momento, Giuseppe Cruciani, ha riconosciuto durante la puntata del 6/7/12 del suo programma radiofonico che «i Paesi in cui non sono legalizzate le nozze gay sono assolutamente normali».

Se queste sono le richieste da parte del mondo LGBT, sul sito “LifeSiteNews“ si sono domandati se la «mentalità omosessuale deve spingerci ad accettare anche la pedofilia e l’incesto?». Se infatti basta avere una relazione romantica, basata sul consenso reciproco, per essere riconosciuti come coppia da parte dello Stato, con che diritto si dice “si” a due omosessuali e “no” ad un padre e ad un figlio (maggiorenne o minorenne) che intendono veder riconosciuta la loro relazione romantica-sessuale, godendo dei conseguenti privilegi? Riconoscere la relazione omosessuale e non quella tra padre/madre e figlio/figlia non è forse discriminazione?
«L’argomento omosessuale», viene scritto, «si basa sul fatto che due persone che si amano l’un l’altro dovrebbero essere in grado di esprimere il loro amore e la società dovrebbe felicemente riconoscere la loro relazione d’amore. Io chiamo questo “mentalità omosessuale“, diventata una mentalità predominante, che ha dimostrato di non tollerare il dissenso». Il problema, viene spiegato, è che «con questa mentalità si può giustificare praticamente qualsiasi cosa in nome dei sentimenti di amore». Perché la relazione d’amore tra due uomini dovrebbe essere privilegiata rispetto alla relazione d’amore tra un padre e un figlio, maggiorenne e consenziente? Se la contrarietà verso il primo tipo di rapporto è omofobia, la contrarietà verso il secondo quale fobia identifica.

Abbiamo già parlato della questione dell’incesto, ma anche la pederastia rientra in questo argomento. Ovviamente si obietterà che la pederastia è contro il volere del bambino, non c’è consenso. Tuttavia i promotori dell’abbassamento dell’età del consenso per i rapporti tra adulti e minori basano la loro tesi sul fatto che ai bambini dovrebbe essere concesso di liberare la loro sessualità. Attraverso la liberazione sessuale, il bambino fortifica la «genialità spontanea» e si «priva di complessi di colpa» creati brutalmente dalla concezione cristiana e “borghese” della famiglia come scriveva W. Reiche nel celebre “La rivoluzione sessuale”. L’icona gay Mario Mieli affermava in “Elementi di critica omosessuale” (1977) che il bambino «è l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros [...]. Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega».


L’ideologa femminista Shulamith Firestone, nel suo “La dialettica dei sessi” (1970), spiegava che «dobbiamo includere anche l’oppressione dei bambini in ogni programma della rivoluzione femminista… il nostro passo deve essere l’eliminazione della stessa condizione di femminilità ed infanzia», arrivando a far sì che «tutti i rapporti intimi», anche quelli tra genitori e figli, adulti e piccini, includano «anche la fisicità» in senso lato. L’omosessuale Aldo Busi ha affermato: «Può esistere una pedofilia blanda, quella praticata dai bambini sugli adulti. I bambini sono in certi casi corruttori degli adulti. Oggi cercano il capro espiatorio nel cosiddetto pedofilo, come ieri negli zingari, negli omosessuali, negli ebrei, nei palestinesi, nelle donne, ma anche i bambini hanno la loro brava sessualità e che gli adulti non devono più reprimerla». In nome di questa “liberazione sessuale dei bambini”, nel 1977 alcuni paladini laicisti e omosessuali hanno creato un famoso manifesto dove esigevano la depenalizzazione dei rapporti con minori. Firmatari erano: Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Michel Foucault, Jack Lang, Louis Aragon, Roland Barthes ecc. Il filosofo laicista Michel Foucault e l’attivista dei diritti omosessuali Guy Hocquenghem hanno spiegato che gli adulti dovrebbero fare sesso con bambini consenzienti, dove per «bambini consenzienti intendiamo che in ogni caso non c’è stata violenza o manipolazione finalizzata a obbligarli ad avere un rapporto affettivo o erotico».
Insomma, impedire ai bambini “consenzienti” di avere un’espressione sessuale sarebbe un crimine, un’oppressione, tanto che diversi esperti di psicologia stanno oggi tentando di sostenere che la pedofilia è un “orientamento sessuale” paragonabile ad omosessualità o eterosessualità. Sempre più conferenze accademiche mirano ad eliminare lo “stigma” sociale della società rispetto agli uomini più anziani che agiscono sessualmente verso i bambini più piccoli. Essere attratti da minori, dicono, è un orientamento sessuale, una “variante naturale della sessualità umana” (come sostengono alcuni parlamentari in Canada), un’inclinazione come le altre.

Allora detto questo, la domanda è: è sufficiente amare qualcuno ed essere amati per venire riconosciuti dallo Stato? Se si, perché non riconoscere l’incesto, la pedofilia (non è violenza dicono, ma beneficio verso la liberazione sessuale dei bambini) o la poligamia (il cui consenso generale è cresciuto proprio in seguito all’approvazione delle nozze gay, come si sottolinea qui) e invece riconoscere le coppie omosessuali? «La società», si conclude domandando su “LifeSiteNews”, «finora ha condannato all’unanimità le relazioni che coinvolgono uomini adulti che fanno sesso con i bambini, chiamandole “disgustose” e “moralmente ripugnanti”. La società, fino a non poco tempo fa, ha condannato anche le relazioni omosessuali allo stesso modo. Una società che riconosce oggi le relazioni omosessuali, ci spinge ad accettare anche la pedofilia e l’incesto?».
La motivazione per offrire un riconoscimento statale ad una relazione sessuale deve essere differente dunque dal mero sottolineare una relazione romantica tra persone consenzienti. C’è bisogno che tale relazione abbia alcune caratteristiche che la rendono unica e vitale per la società, come solo possono essere le relazioni tra l’uomo e la donna, basate sull’incontro equilibrato e naturale tra gli appartenenti dei due diversi sessi, relazioni originalmente aperte alla vita e adatte alla giusta e bilanciata accoglienza di un nuovo essere umano. da

mercoledì 27 giugno 2012

INTERVISTA A BUTTAFUOCO: "GLI ITALIANI TORNINO AD ESSERE DEI NAVIGATORI PER USCIRE DALLA CRISI"

La ricetta di Buttafuoco per superare la crisi attuale risiede nell'Eurasia. "I commercianti devono recuperare quello spirito imprenditoriale e tornare ad essere un popolo di santi, eroi, ma soprattutto navigatori"
La crisi che stiamo vivendo è soltanto economica o c'è dell'altro?
"Sicuramente in questa crisi c'è un fondamento spirituale, anzi nell'assenza di spiritualità si manifesta questa crisi. Il fatto stesso che abbiamo forgiato generazioni abituate all'idea del posto di lavoro, anzi abituate più allo stipendio che al lavoro avendo noi abbandonato quella che è stata la tradizione dell'umanesimo del lavoro questo ci ha portato a essere soltanto carne da macello a disposizione dei progetti di globalizzazione nella migliore delle ipotesi o, nella peggiore, a essere soltanto un granaio di consenso a disposizione del primo che arrivava nei nostri paraggi e dettava legge".
Rispetto alle crisi passate, sembra esserci un maggiore scoramento, quasi come se la speranza di uscire dal tunnel sia una chimera. E' d'accordo?
"Nel passato c'era un radicamento terraneo, forte che faceva sì che comunque la dimensione fosse quella della profondità, del vivere in profondità, con grande partecipazione perché c'era anche un aspetto corale forte di simbiosi. Adesso siamo solo delle monadi solitarie impazzite, tanto è vero che non abbiamo più davanti a noi una prospettiva. Ti faccio un esempio pratico?"
Prego
"Se tu metti a confronto una fotografia scattata a Scampia, allo Zen di Palermo o al Librino di Catania con una scattata in uno slum di Mombay la differenza è totale. Perché sono tutti e 4 quartieri della cosidetta emarginazione della povertà con la differenza che in quello di Mombay tu vedi brulicare la vita, vedi gente che non sta con le mani in mano, che si muove, che si agita, che fabbrica, che si adopera e che cerca di realizzare qualcosa pur nella povertà dei mezzi. Nelle tre foto scattate nelle nostre tre zone vedrai qualcuno appoggiato al muro, qualcun altro ad attardarsi in un bar, un altro ancora impegnato a cercare un cliente per lo spaccio della droga. Dopodiché il deserto totale".
Lei è anche uno studioso di religioni. C'è qualche colpa da additare al cristianesimo?
"Il cristianesimo ha smarrito totalmente quella che è l'unica vera spinta propulsiva della religioni che per dirla nel linguaggio di Nietsche è la volontà di potenza. Se tu metti a confronto una foto di una chiesa costruita nel 2012 e una moschea vedrai che la moschea è comunque bella, rifulge di potenza mentre la chiesa avrà questo effetto di grande casamento mesto, triste, disegnato secondo le esigenze e le necessità di quegli scatoloni da periferia. Queso perché nella moschea c'è la volontà di potenza, l'adesione a un progetto di bellezza. Nel cristianesimo è venuto meno. Tanto è vero che si è confusa l'identità religiosa con una specia di società di assistenza sociale, diventando solo un accomodante ufficio di ascolto sociale".
Secondo lei, siamo al capolinea o c'è spazio per una rinascita?
"La rinascita, la rigenerazione ci sarà e ha anche un destino ben preciso che è l'Eurasia. La cosa che mi fa ridere in tutto questo parlare di crisi è che noi stiamo a guardare che cosa farà la Germania, la Francia, l'Inghilterra non parliamo poi di cosa può essere la deriva statunitense, ma non ci rendiamo conto invece che vicino a noi c'è una grande potenza regionale come la Turchia che è molto più potente economicamente, commercialmente, culturalmente e anche dal punto di vista della freschezza delle generazioni rispetto a Francia, Inghilterra, Italia".

La rigenerazione risiede nella Turchia, quindi?
"La patria nostra è quella che ha saputo dare un indirizzo alla via della Seta con il percorso verso la Cina, verso le Indie, verso quella grande traiettoria dove c'era quella capacità dell'italiano di ritrovare se stesso viaggiando nel mondo. Non è un incaponirsi da erudito perché non lo sono, ma è una indicazione che devono raccogliere innanzitutto i mercati, i commercianti, quelli che devono recuperare giorno dopo giorno questo spirito imprenditoriale e riuscire a fare quello che nella storia è stato sempre segnato da chi ha saputo essere popolo di santi, eroi, ma soprattutto navigatori".
Che idea si è fatto del fenomeno dei suicidi dal punto di vista sociale e giornalistico?
"Sui suicidi la penso come il Duce. Bisogna applicare la censura, non bisognerebbe parlarne perché c'è sempre quella dimensione di contagio che poi prende l'opinione pubblica. E' pericolosissimo parlare di suicidi, applicare la morbosità come condimento dell'informazione".
Un percorso di letture per uscire dalla crisi? "Una guida del touring club che porti attraverso il percorso della via della Seta. Solo questo, viaggiare, andarsene via".
Da "Il Giornale" 27/6/2012

venerdì 4 maggio 2012

La stupida ipocrisia del governo dei suicidi.

Non è l’Abc l’alfabeto che ha segnato il nuovo inizio della politica italiana nell’era Monti. Non è nemmeno un nuovo inizio, quello segnato dall’arrivo del 2012, ma solo una fine annunciata. Una fine lunga e dolorosa. Forse l’ottimismo a cui faceva spesso appello Berlusconi era irresponsabile – come sostenevano cento e cento soloni – ma almeno la gente non si suicidava. I lavoratori non si davano fuoco come dei bonzi tibetani, i commercianti non si impiccavano, i disperati non si asserragliavano con degli ostaggi nelle sedi di Equitalia. Che politica è quella che sposta di giorno in giorno l’indice della responsabilità su una categoria o una parte dei cittadini? I parlamentari, i farmacisti, i commercianti, gli statali, i sindacati... nessuno è responsabile per l’oggi, tutti responsabili per ciò che accadeva prima che il Messia arrivasse a dirci, con disprezzo e arroganza, che tutto questo ce lo siamo meritato, che siamo gli artefici del nostro destino, che abbiamo scelto sempre i governanti sbagliati e che siamo tutti ignoranti, inetti, meschini e servi. Tutti – eccetto lui – abbiamo parassitato la società, passando troppi anni all’università, prendendo il doppio stipendio, approfittando delle tutele sindacali, restando a casa coi genitori e non pagando il biglietto dell’autobus. Tutto vero, ma lui dov’era? A lavorare in una miniera di carbone in Belgio? I suoi figli hanno avuto difficoltà a piazzarsi nei board delle più influenti finanziarie del mondo? Hanno dovuto fare gli studenti lavoratori per pagarsi gli studi universitari? Non hanno avuto trattamenti di favore dai colleghi professori del paparino? E lui, che non si è mai esposto al giudizio della gente ma è sempre stato cooptato dall’alto, nel lavoro come nella politica, è l’esempio da additare ai nostri figli? di Marcello de Angelis, tratto dal "Secolo d'Italia" 03/05/2012

lunedì 19 marzo 2012

Le sezioni, dove ognuno costruiva il suo sogno

C’erano una volta le sezioni di partito. C’erano una volta i partiti, verrebbe da aggiungere. Quelli, tuttavia, ci sono ancora. Leggeri, come si usa dire. Liquidi, che è cosa diversa da trasparenti. Le sezioni, invece, no. Il circolo ne è il succedaneo, ma il sapore resta diverso e sfidiamo chiunque a sostenere che la margarina possa davvero sostituire il burro. Stesso discorso per il club, luogo neutro a metà tra l’ufficio di rappresentanza e quello di collocamento. I comitati elettorali, poi, sono tristemente estemporanei. Nascono, crescono e muoiono nell’arco di poche settimane: bruchi che non diventano farfalle. Alimentano suggestioni spudoratamente mirate al consenso e si spengono come fuochi fatui lasciando tracce di nastro adesivo sulle vetrine e santini eccedenti da smaltire. I militanti in crisi di vocazione vengono rimpiazzati, all’occorrenza, dalle hostess. I contenuti soppiantati dalla (bella) presenza.

Sembra passato un secolo e sono appena pochi lustri. Una stagione, quella della partecipazione politica, rimossa dall’immaginario collettivo, quasi sconosciuta dalle giovani generazioni. Quando la scelta elettorale presupponeva anche una relativa affiliazione sindacale, sportiva e ricreativa. Dopo il “rompete le righe” di Tangentopoli, simboli e partiti con cui gli italiani avevano una lunga “familiare” consuetudine, sono stati archiviati. «Eppure dietro il simbolo sbarrato sullo Scudo Crociato, la Falce e il Martello, il Garofano Rosso, la Fiamma Tricolore, l’Edera Verde, il Sole Nascente, la Bandiera Tricolore con la scritta Pli, la Rosa nel Pugno, c’erano delle narrazioni, delle visioni del mondo, degli intenti pedagogici, delle agenzie di formazione e informazione».
Così scrive Andrea Pannocchia nel volume Quelli che… la sezione. La militanza politica in Toscana nella Prima Repubblica (Eclettica Edizioni, pp. 345 euro 16). Intendiamoci: quella di Pannocchia, dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione presso l’Università di Firenze, non è un’operazione vintage. Schiva, con l’obiettività dello studioso, la tentazione di farsi laudator temporis acti, «adulatore di un passato che spesso si tende a considerare una sorta di Eden perduto».
La questione che pone è: si è buttato via, assieme all’acqua, anche il bambino? La mission del libro è cercare di ricostruire, attraverso la voce dei protagonisti, come si viveva la politica ai tempi della Prima Repubblica. Un viaggio a ritroso nel tempo, ma finalizzato a capire qualcosa di più sull’attualità e soprattutto sulle prospettive del nostro sistema partitico. Chi erano e che vita conducevano i militanti? Come si diventava dirigenti di partito e amministratori pubblici? Com’era stata vissuta la scomparsa dei rispettivi partiti e se e come vi era stata una ricollocazione nel nuovo sistema? Pannocchia, aiutato da Fabio Calugi per la componente storiografica, ha lasciato che a rispondere fossero dieci politici locali, uno per ognuno dei dieci partiti e delle dieci province toscane presenti nel 1987, anno campione della ricerca. Anno in cui tutti erano contro tutti, senza alleanze precostituite e con il Pci a farla da padrone. Regione “rossa” per eccellenza, la Toscana, in cui in nove province su dieci il partito di gran lunga più forte era quello comunista, che arrivava dietro alla Dc solo in provincia di Lucca.
«Terra irriducibile ai cambiamenti esterni come il villaggio gallico di Asterix di fronte agli assalti dei romani», ma non per questo priva di vivacità. Il saggio di Pannocchia ne offre uno spaccato inedito: «I radicali ospitati, quasi come marziani, nelle Case del Popolo di Prato, i minatori missini di Ribolla che combattono battaglie di sopravvivenza politico-sindacale mentre i cislini della Lebole di Arezzo si mobilitano per non soccombere all’egemonia della Cgil, i repubblicani sfrontati che vanno ad attaccare manifesti a Turano, la frazione più rossa di Massa, i militanti di Dp di Empoli che vogliono convincere i clienti della Coop a boicottare i prodotti israeliani, i fascisti grossetani sostenitori di Junio Valerio Borghese o che rimpiangono le imprese orbetellane di Italo Balbo; i socialisti di Pontedera che arrivano prima dei comunisti al domenica mattina alla Piaggio a distribuire L’Avanti!».
Più che davanti a un saggio sembra di venire proiettati in un romanzo corale in cui non tutti gli “eroi” hanno un nome. Ci sono quelli che l’autore chiama «gli angeli del ciclostile», quelli che non sono mai stati eletti ma che non per questo hanno vissuto meno intensamente quegli anni. Forse non erano “tecnici”, ma ingegnosità e generosità ne avevano in abbondanza. Personaggi eccezionali nella loro normalità e talvolta picareschi nel vissuto politico quotidiano. Idealisti e cinici, manovratori di eserciti e avventurieri solitari. Esistenze divise tra momenti privati e
istituzionali, passioni di parte e responsabilità di amministratori del territorio. Ognuno con una storia da raccontare, le cui parole, parole di militanti che in molti casi sono stati e sono importanti dirigenti e pubblici amministratori, aiutano il lettore a capire cosa significasse «aprire una sezione, condividere idealità, organizzare riunioni, formare decisioni e quanto una sezione potesse diventare anche uno spazio fisico e simbolico da difendere».
Perché chi decideva di fare politica, in particolar modo nel Msi, sapeva di mettere a repentaglio la propria vita. Senza, peraltro, avere alcuna prospettiva di “carriera”. La testimonianza di Andrea Agresti, classe 1953, consigliere regionale del PdL con un passato da militante della Giovane Italia e poi del Fronte della Gioventù – «segretario per carenza di militanti», si schernisce – è esemplare. Dopo oltre vent’anni di consiglio comunale, ovviamente all’opposizione, nel 1997 divenne vice sindaco di Grosseto, carica che ha mantenuto per due mandati. «Avrebbe mai pensato, da militante missino, di diventare un giorno vice sindaco della sua città?», gli domanda l’autore. « No, anzi non pensavo nemmeno di invecchiare», è la significativa risposta.
Il tempo, però, passa. La legge elettorale è cambiata, il venir meno delle preferenze sembrerebbe rendere l’organizzazione superflua, la selezione della classe dirigente non passa più per le sezioni ma avviene per mera cooptazione. Ed è un male, perché i giovani, grazie al confronto con i “vecchi”, i militanti più esperti, diventavano di norma uomini culturalmente più solidi e amministratori preparati. Certo, ci sono le nuove opportunità offerte dalle moderne tecnologie di comunicazione e altre forme di autorganizzazione dal basso. C’è Facebook. C’è Twitter. Con le epoche storiche cambiano modalità ideali e pratiche del fare politica. Se uno in un partito si trova in minoranza, piuttosto che misurarsi con gli altri, ne fa subito un altro. Con buona pace di chi l’ha votato.
Pannocchia non si iscrive nel novero degli apocalittici. La sfida con la modernità non si affronta alimentando velleitari ritorni al passato. Il che non toglie – conclude l’autore – «che non si costruisce niente senza un partito vero, un’organizzazione, una struttura fatta di militanza, di confronto fra la base e i vertici, uno scontro anche interno se necessario duro, una serie di regole democratiche per la selezione delle classi dirigenti. Senza dei valori, delle coordinate culturali, di un minimo comune denominatore. Senza precisi canali di partecipazione e processi di formazione incentrati su una lunga gavetta. E molto spesso senza un luogo in cui ritrovarsi e discutere». Le sezioni, per l’appunto. Dove sia ancora possibile costruire progetti, elaborare visioni, organizzare adeguate forme di militanza politica. Anche in tempo di antipolitica dilagante? Sì, perché costruire è meglio che demolire.

di Roberto Alfatti Appetiti dal Secolo d'Italia

sabato 25 febbraio 2012

SALVIAMO I NOSTRI MARO'!




I nostri soldati del glorioso reggimento San Marco sono vittime della cattiva diplomazia italiana, totalmente incompetente nonchè specchio dell'incapacità di fare e creare politica da parte del governo Monti, un governo non eletto, di stampo burocratico e amico delle banche, quindi assolutamente incapace di gestire situazioni di crisi come questa.

RIPORTIAMO I NOSTRI MARO' A CASA!

sabato 7 gennaio 2012

ACCA LARENZIA, 34 anni dopo i gendarmi della memoria si fanno risentire.



Esisterà mai in questo benedetto ma anche sfortunato paese un giorno in cui la memoria sarà condivisa da tutte le parti politiche? Esisterà mai un giorno in cui la violenza politica di quei maledetti anni di piombo sarà condannata NEI FATTI dagli eterni "antifascisti"? Dopo 34 anni da quella orrenda sparatoria dove morirono 3 giovani militanti del Fronte della Gioventù, ancora oggi polemiche sterili e fini a sè stesse vengono riaccese dall'Associazione dei partigiani, che vuole vietare l'annuale commemorazione a Roma organizzata dai gruppi di Destra riuniti nel comune ricordo dei loro camerati caduti. Ma in nome di quali alti principi si può negare la commemorazione di 3 ragazzi di 18 20 e 19 anni che sono stati uccisi solo perchè rei di militare in un movimento di Destra? Sono queste la libertà e la democrazia tanto osannanate dai partigiani?

In realtà, ogni anno, questi signori, uniti al loro codazzo di benpensanti democratici e radical chic, dimostrano solo di essere dei biechi gendarmi della memoria, che si arrogano il diritto di decidere quali sono i morti che possono essere ricordati e ricoperti di retorica, e quali invece debbano essere dimenticati e ricoperti dalla vergogna e dal disprezzo per aver militato dalla parte "sbagliata".

Sperando che arrivi il giorni in cui questi gendarmi saranno finalmente zittiti dagli italiani (oltrechè dalla Storia), noi oggi rivolgiamo un pensiero a Franco, Francesco e Stefano, caduti in anni difficili e tristi, e lanciamo al cielo, per loro, il nostro triplice PRESENTE!