Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

domenica 25 dicembre 2011

2011, anno di successi per la comunità varesina. Grazie a tutti voi!

E' tempo di bilanci. Anno 2011, anno ricco di esperienze, di successi e di tanta tanta militanza attiva quotidiana. Questo 2011 possiamo dire che sia stato l'anno della nostra conferma a livello di gruppo, ossia -seppur con diversità di vedute sotto certi punti di vista- essere sempre coesi nel volere dare qualcosa di più alla nostra comunità attraverso risposte concrete e azioni degne di noi.

Nonostante governi tecnici e scandali vari legati alla politica nazionale, nonostante la generale sfiducia verso i partiti e verso la politica che si può facilmente percepire andando nelle piazze, la Giovane Italia Varese c'è, e va avanti a testa alta, si ingrandisce, si radica, si conferma primo movimento giovanile militante di Destra in tutta la provincia.

Decine di banchetti, da Gennaio a Dicembre, con unico mese di sosta il mese di Agosto, hanno caratterizzato la nostra militanza, così come gli innumerevoli volantinaggi fuori dalle scuole di Varese, Luino, Busto Arsizio e Tradate, perchè la base di ogni attività militante è il volantino, ed è questo che abbiamo tentato di insegnare ai nuovi militanti che sono entrati nelle nostre sezioni a Varese come a Gallarate come a Busto.

Striscioni su temi che a noi stanno particolarmente a cuore, come Sergio Ramelli, le Foibe, ma anche su tematiche di politica locale e nazionale, non da ultimo gli striscioni appesi contro il governo delle banche presieduto da Monti, contro il quale abbiamo anche fatto un piccolo flash mob in centro che ha riscosso molta curiosità tra i varesini. Come non citare anche lo splendido rapporto di cameratismo che è nato con la realtà bustocca dell'Ardito Borgo, con cui i nostri ragazzi hanno organizzato conferenze e
manifestazioni, e, ovviamente, cantato a squarciagola durante i numerosi concerti di musica alternativa che si sono tenuti nella nostra provincia: DDT, Garrota, Skoll, Fabio Costantinescu, ma anche gli Antica Tradizione in Comunità Giovanile, la collaborazione con la quale dura da anni ed è continuata anche quest'anno.

La primavera è stata caratterizzata da un impegno costante di tutti noi per le elezioni comunali, che hanno visto trionfare il nostro "Cose" per il consiglio comunale a Varese insieme alla rielezione del "Checco" al consiglio comunale di Busto. Un successo che ha dimostrato a tutti quanti, ai nostri detrattori in primis, ma poi anche a noi stessi, che non c'è ostacolo che tenga se la politica genuina e disinteressata si fa strada, e i nostri concittadini hanno voluto premiare il nostro impegno, regalandoci uno splendido successo elettorale, riconosciuto subito dopo con la nomina del nostro presidente provinciale, Stefano Clerici, ad Assessore all'ambiente a Varese.

I mesi estivi sono stati poi ricchi di attività militanti e di svago per tutti noi, come giusta ricompensa per quanto da noi faticosamente ottenuto alle elezioni..!
La celebrazione del solstizio d'estate al forte di Orino con annesse bevute e canzoni attorno al fuoco per tutta la notte, il viaggo identitario in Irlanda alla scoperta di quella meravigliosa terra che tanto ha da insegnarci, il campo Plus Ultra della destra sociale a Percile, la festa nazionale della Giovane Italia - Atreju a Roma, Aslan - la festa della Destra lombarda a Monza.. un estate ricca e che ha ulteriormente cementificato i legami esistenti all'interno della nostra comunità!
Da ultimo la gita del 9 Ottobre al Vittoriale degli Italiani in onore di Gabriele d'Annunzio ha dato il via alla ripresa delle attività prettamente politiche, che si sono incentrate sul tesseramento, sul reclutamento nelle scuole e sul grande problema della speculazione finanziaria internazionale nei confronti dell'Italia, organizzando anche una conferenza sul signoraggio bancario presso il museo del Tessile a Busto.
Sempre a Busto grazie ai nostri ragazzi la nuova sede del PDL di via Confalonieri è diventata un luogo di ritrovo per tutti gli iscritti e simpatizzanti del partito e del movimento giovanile, mentre la riapertura della storica sede del MSi prima e di An poi in Via Piave a Varese è prevista per Gennaio/Febbraio del 2012.

Non da ultimo, è giusto citare anche le conferenze dedicate al 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia organizzate a Busto, l'intitolazione dei giardinetti del Liceo Classico di Varese al grande filosofo Giovanni Gentile (con annessa polemica studentesca sulla figura del Gentile teorico del Fascismo), la nascita di Avanguardia Studentesca come movimento presente nelle scuole della provincie,, l'adesione alla rete dei Patrioti - la lobby degli italiani e il corteo a Bolzano per protestare contro la parziale rimozione del monumento alla vittoria italiana nella Grande Guerra.

Il 2011 insomma è finito sotto i miglior auspici per la nostra comunità, che ha saputo raccogliere tanto consenso, tanti successi e anche tante nuove adesioni di ragazzi grazie all'impegno costante di tutti i nostri camerati che hanno sacrificato tempo libero, sforzi e soldi per potersi guadagnare i propri spazi all'interno di un partito che spesso non ci ascolta ma anche sui giornali e nelle piazze, dove la gente si avvicina ai nostri banchetti e quasi si stupisce che esistano ancora giovani in grado di impegnarsi per dei valori in cui nessuno sembra più credere.

Augurando a tutti Buon Natale e un felice anno nuovo, siamo pronti a ripartire per un 2012 nel quale vogliamo essere protagonisti. La strada sarà in salita, forse più o forse meno degli anni passati chissà, ma a noi, in fondo, le salite più sono ripide e più ci affascinano..

In Alto i Cuori!

Leslie Mulas
Luca Folegani

giovedì 22 dicembre 2011

STRISCIONI NEL QUARTIERE DI MONTI CONTRO LA TECNOCRAZIA!


Militanti della Giovane Italia Varese hanno appeso questa notte nel quartiere di Sant'Ambrogio tre striscioni contro la manovra cosiddetta "salva italia" e il governo tecnico. La scelta del quartiere non è casuale, visto che il premier Monti ha vissuto in passato in una villa della zona, ed è proprio qui che simbolicamente sono stati appesi li striscioni lungo la via principale del quartiere.
"Giù le mani dai risparmi italiani", "Il governo tecnico nuoce gravemente alla salute" e "Sopra la banca l'Italia campa, sotto la banca l'Italia crepa!" sono le frasi scelte per far sentire la nostra voce contro questo governo che ci prende in giro quotidianamente con la scusa dell'equità e del rigore per mettere nuove tasse e impoverire gli italiani, toccando il loro punto forte: il risparmio delle famiglie.

Questo governo tecnico, esattamente come avevamo gridato fin da subito, si è rivelato tutto fuorchè un governo di salvezza dalla crisi. Lo spread è ancora a livelli alti, sopra i 450punti (anche se dopo le dimissioni di Berlusconi nessuno più ne parla, chissà perchè...) e questa manovra causerà alle famiglie una stangata di centinaia di € all'anno, ma a nessuno dei nostri grandi commentatori sembra importare, visto che ogni voce contraria a questa manovra "impoverisci-Italia" è bollata come irresponsabile e contraria al bene nazionale. L'unica cosa irresponsabile in questo momento è continuare a sostenere questo governo di tecnocrati e di banchieri, incapace di qualsiasi decisione di buon senso e buono solo a fare danni.




venerdì 16 dicembre 2011

COMUNICATO CONTRO LA CRISI: NO ALLA MANOVRA MONTI!

Senza nemmeno sorprenderci più di tanto, prendiamo atto del disastro che la manovra cosiddetta “salva Italia” varata dal governo Monti provocherà per l’economia e le famiglie italiane. Confidiamo nel fatto che tutti coloro i quali, anche all’interno del nostro partito, speravano nelle “competenze” del governo di tecnocrati per risollevare il paese si siano ravveduti e abbiano cambiato idea riguardo a Monti. Tasse, tasse, tasse e ancora tasse; nessun provvedimento per la crescita, nessun provvedimento mirato allo sviluppo e tanti, troppi favoritismi alle banche, principali sponsor di questo governo di finanzieri. Come si può pensare di risollevare l’economia aumentando il prezzo della benzina, obbligando pensionati e operai a aprire conti in banca per ritirare stipendi e pensioni per colpa della nuova tracciabilità sopra i 500€, inserendo il grande fratello sui conti correnti, aumentando l’iva al 23%, facendo pagare una super ICI sulla prima casa?

Era proprio necessario un governo di tecnici per imporre nuove tasse? La tanto sbandierata equità dei provvedimenti è in realtà una enorme fesseria, perché se è vero che benzina e IVA sono pagate da tutti, è altrettanto vero che il più colpito da questi aumenti sarà il ceto medio-basso che ha già pesantemente vissuto gli effetti di questa crisi sul suo portafoglio negli anni precedenti.
Fin da subito noi della Giovane Italia Varese ci eravamo schierati coerentemente contro ogni governo tecnico e chiedendo le elezioni come unico rimedio alla crisi di governo, e adesso i fatti ci danno ragione. Nessuna crescita e nessuno sviluppo può arrivare solo tassando il ceto medio. Dove sono i tagli all’elefantiaco apparato pubblico promessi, vedi stipendi dei dirigenti pubblici, enti inutili, ecc? Dove sono i provvedimenti per la crescita economica e per il sostegno dei consumi? Tra le lacrime di coccodrillo del ministro Fornero e la pagliacciata della prima alla Scala “all’insegna della sobrietà”, speriamo che in parlamento il PDL non si renda complice di questa manovra iniqua e si impegni per migliorarla quanto più possibile per poi staccare la spina a questo governo ed andare a elezioni subito. Non possiamo lasciare le storiche battaglie della destra per la sovranità popolare in mano alla sola Lega Nord; non possiamo continuare ad appoggiare un esecutivo che impoverirà gli italiani per bene senza colpire coloro che hanno causato la crisi, cioè banchieri e speculatori finanziari. Basta ipocrisie soprattutto all’interno del Poplo della Libertà, basta intimidazioni e minacce da parte di Unione Europea e Presidente della Repubblica che stanno togliendo al popolo italiano quel poco di sovranità nazionale che gli era rimasto! Il movimento giovanile non accetta e non accetterà mai il sostegno del proprio partito a questo decreto “distruggi-Italia” così com’è. PDL, se ci sei batti un colpo!

Federazione Provinciale Giovane Italia Varese

sabato 12 novembre 2011

"mascherata" a Varese: ITALIA OSTAGGIO DELLE BANCHE.



Oggi in centro a Varese, una dozzina di militanti della Giovane Italia hanno volantinato per dire il loro NO forte e deciso a qualsiasi governo tecnico di banchieri che non sia eletto dal popolo.

La via maestra da percorrere rimane quella delle elezioni, perchè è inconcepibile che l'Italia si ritrovi ad avere un governo di parlamentari non eletti e guidato da persone non votate.

Ovviamente è anche impensabile il difendere la scelta di Mario Monti alla guida di questo fantomatico governo tecnico. Monti è dirigente dal 2005 della Goldman Sachs, la principale banca d'affari americana, oltre che membro del direttivo della Commissione Trilaterale e del Club Bilderberg; questi ultimi sono due consessi di finanziaeri e politici occidentali che si riuniscono a porte chiuse con cadenza annuale.

Come è possibile che si dia in mano a un esimio esponente dei poteri forti e della finanza internazionale, le sorti del nostro paese?

Come è possibile che si dia in mano a un banchiere il governo di un paese colpito da una crisi che è stata cuasata proprio dalle banche?????????

La Goldman Sachs, ovvero il datore di lavoro di Mario Monti, ha volutamente speculato sui nostri titoli di stato facendo si che la situazione diventasse insostenibile per il governo italiano e facendo sì che si creassero le condizioni per mettere a capo del Governo proprio un suo uomo.

Durante il volantinaggio, 3 nostri ragazzi, con le maschere di Mario Monti (Goldman Sachs), Christine Lagarde (Fondo Monetario Internazionale) e Mario Draghi (Banca Centrale Europea, anche lui ex Goldman Sachs) hanno legato una militante vestita da Italia, con indosso una maschera anonima bianca a simboleggiare la perdita d'identità della nostra Nazione.
L'Italia è ostaggio di banche e poteri forti, che hanno commissariato la nostra politica e che prendono le decisioni fondamentali per il nostro Stato senza alcuna legittimazione popolare.

QUALSIASI sia la posizione del PDL a riguardo di un governo Monti, i giovani del PDL urlano il loro NO e chiedono elezioni subito. Paesi che stanno peggi odi noi, come la Spagna, hanno imboccato questa via senza passare per alcun governo tecnico. Quello che serve all'Italia è credibilità e stabilità, non un governo tecnocratico di banchieri che svenderebbe tutto lo svendibile a grandi banche e industrie straniere, come già accadde nel 1992 quando l'Italia fu sotto attacco speculativo, in una situazione identica a quanto accaduto in questo ultimo mese.

NO AL GOVERNO DELLE BANCHE.

LA POLITICA RECUPERI IL PRIMATO SULL'ECONOMIA.

ELEZIONI SUBITO, LA PAROLA AL POPOLO SOVRANO.

domenica 23 ottobre 2011

Lega, CL e massoneria, i nuovi equilibri politici varesini

(dal Corriere della sera 06-10-2011)
La città che detesta Roma ma vive sempre più di politica

In 46 anni di Prima Repubblica, Varese ha espresso un solo ministro, «mister terremoto» Giuseppe Zamberletti, primo responsabile in Italia della Protezione civile. Nei 17 di Seconda Repubblica, la città ha invece dato alla Nazione 3 ministri, due direttori di rete Rai, un presidente di Alitalia, uno dell’Inps, consiglieri di amministrazione di Enel, Finmeccanica, ancora della Rai più altri enti minori. «Grazie alla Lega Varese è diventata quello che era Avellino ai tempi di De Mita»: il copyright della battuta viene attribuito al deputato del pd Daniele Marantelli ma in ogni caso fotografa in poche parole la mutazione avvenuta nella mappa del potere cittadino nel giro di pochissimi anni: l’asse—al contrario di quanto avvenuto quasi ovunque —, si è spostato dalle imprese alla politica e Varese si è abituata a dipendere assai di più dall’economia di relazioni, quella fatta nei palazzi, che non dalle idee vincenti. Bizzarro, nella città dove è nato lo slogan «Roma ladrona».

Per un’alchimia del destino (ma è poi tutto così casuale?) mentre Varese diventava uno dei punti focali della politica nazionale, le maggiori imprese della zona sfuggivano dimano ai capitani d’industria locali, per decenni i veri padroni della città: oggi la Whirlpool (l’ex Ignis di Giovanni Borghi) è americana, la B-Ticino francese, l’Aermacchi è nella galassia di Finmeccanica, banche locali non ne esistono più. Verrebbe da dire che il potere di Varese non abita a Varese e questo è in larga misura figlio della parabola della Lega Nord: qui il partito di Bossi è nato ma non ha mai raggiunto il record dei consensi in Italia (26% mentre a Bergamo, Brescia o Treviso sfonda il muro del 30) però qui ha prodotto gran parte della sua classe dirigente. È una Lega, quella varesina, molto più di governo che di lotta, avendo come uomini di peso Roberto Maroni o manager come Antonio Marano (Rai), Giuseppe Bonomi (Alitalia e Sea) o lo stesso sindaco Attilio Fontana, un professionista che non ha mai firmato ordinanze tacciabile di xenofobia. E’ insomma l’indotto generato dall’aver raggiunto posizioni chiave grazie alla politica a condizionare la vita della città.

Ma identificare il potere di Varese con la Lega sarebbe riduttivo; numeri alla mano, al Carroccio di governo si contrappone l’altra vera presenza strutturata della città, Comunione e Liberazione. Cl alle ultime regionali è riuscita a far confluire 14.556 preferenze sul suo candidato Raffaele Cattaneo, e anche alle comunali, fin dagli anni 70 i candidati più votati (nella Dc, in Forza Italia, nel Pdl) sono sempre ciellini. Un peso confermato da un fatto: la chiesa intitolata a Massimiliano Kolbe, quartier generale del movimento, periferia della città, ha assunto negli ultimi anni una centralità che contrasta con la basilica di san Vittore o il santuario del Sacro Monte, tradizionali cuori religiosi di Varese. «Che ci sia stato un trasferimento di potere dall’economia alla politica è fuori discussione — commenta Riccardo Broggini, già "pezzo da 90" della Dc, oggi assorbito dalla sua professione di commercialista—anche se di questo la città non sembra trarne grande beneficio: forse perché i protagonisti di questa stagione sembrano più attenti a compiacere i loro referenti superiori».

Ma la mappa del potere di Varese non sarebbe completa senza parlare di un terzo elemento, oltre a Lega e Cl, una sorta di «convitato di pietra» di cui spesso si sussurra: la massoneria. È proprio Broggini a far cadere il velo: «Quando fui candidato sindaco, e persi, durante la campagna elettorale notai una certa resistenza nei miei confronti da parte di alcuni ambienti della città, facenti riferimento alla massoneria. Quali? Ad esempio quelli legati all’università dell’Insubria». L’università è una realtà autonoma a Varese dal 1998, guidata da allora dal rettore Renzo Dionigi; periodicamente l’ambiente accademico si scontra con quello di Cl per la nomina dei primari all’ospedale cittadino, considerato un centro di eccellenza e le diatribe finiscono regolarmente raccontate sui media locali. Ma davvero il Grande Oriente è in grado di condizionare la vita di Varese? Giuseppe Armocida, storico della città e docente proprio all’Insubria (ma anche assessore esterno in una giunta monocolore leghista), getta acqua sul fuoco: «Se si conoscessero gli elenchi degli iscritti alla massoneria varesina si scoprirebbe che il loro peso è relativo. L’università come centro di potere massonico? Mah, se così fosse l’ateneo cittadino avrebbe attratto molto più risorse e non avrebbe la sede malandata in cui oggi deve operare».

venerdì 21 ottobre 2011

Onore e armi in pugno. Come sanno morire i nostri nemici, nessuno (di pietrangelo buttafuoco)


Come sanno morire i nostri nemici, nessuno. Come ha saputo morire il rais, armi in pugno, lo sapevano fare solo i nostri. Come sanno morire i nostri nemici, nessuno. Come ha saputo morire il rais, armi in pugno, lo sapevano fare solo i nostri. Come a Bir el Gobi quando con onore, dignità e coraggio sorridevano alla morte. Fosse pure per fecondare l’Africa.

Sarà tutto tempo perso, dunque, sporcarne gli ultimi istanti, gravarne di dettagli i resoconti e anche quel disumano reportage sul volto fatto strame – tra sangue e calcinacci – non potrà spegnere il crepitare della mitraglia. Perché come ha saputo morire Muammar Gheddafi – così ridicolo, così pacchiano e così a noi ostile – come ha saputo farsi trovare, straziato come un Ettore, solo il più remoto degli eroi dimenticato nell’Ade l’ha saputo fare.
Come i nostri eroi. Come nel nostro Ade. Proprio come seppe morire Saddam Hussein che se ne restò sprezzante sul patibolo. Come neppure la più algida delle principesse di Francia davanti alla ghigliottina. Incravattato di dura corda al collo, l’uomo di Tikrit, degnò qualche ghigno al boia, si prese il tempo di deglutire il gelo della forca per poi gridare la sua preghiera: “Allah ‘u Akbar”. E fu dunque fatto morto. E, subito dopo, impudicamente fotografato.
Come nel peggiore degli Ade. Per quel morire che non conosciamo più perché gli stessi che fino a ieri stavano a fianco del rais, dunque Sarkozy, Cameron, lo stesso Berlusconi, tutto potranno avere dalla vita fuorché un ferro con cui fare fuoco. La nostra unica arma è, purtroppo, il doppio gioco. I nemici di oggi sono i nostri amici di ieri – amico fu Gheddafi, ancor più amico fu Saddam Hussein – e quando li portiamo alla sbarra, facendone degli imputati, dobbiamo scrivere la loro sentenza di morte con l’inchiostro della menzogna perché è impossibile reggere il ghigno dei nemici. Perché – si sa – i nemici che sanno come morire, poi la sanno sempre troppo lunga su tutto il resto del Grande gioco. Ed è un lusso impossibile quello di stare ad ascoltarli in un’udienza.

Come sanno morire i nostri nemici, nessuno. L’unica cruda verità della vita è la guerra e solo i nostri nemici sanno creparci dentro. E’ veramente padre e signore di tutte le cose, il conflitto, ma l’impostura è così forte in noi da essere riusciti a muovere guerra alla Libia dandola per procura, lavandocene le mani, mandando avanti gli altri perché a forza di non sapere morire con le armi in pugno, se c’è da sparare, preferiamo dare in appalto la sparatoria. Giusto come un espurgo pozzi neri da affidare a ditta specializzata.

Come sanno morire i nostri nemici, nessuno. Quando gli eserciti dello zar ebbero ragione del loro più irriducibile nemico, Shamil il Santo – l’imam dei Ceceni, il custode della prima Repubblica islamica nella storia – nel vederselo venire avanti, finalmente sconfitto, non lo legarono a nessun ceppo, a nessuna catena, piuttosto gli fecero gli onori militari per accompagnarlo in un lungo viaggio fino al Palazzo reale dove lo zar, restituendo a Shamil il proprio pugnale, lo accolse quale eroe e lo destinò all’esilio, a Medina, affinché tutta quella guerra, spaventevole, diventasse preghiera e romitaggio.

Come c’erano una volta i nemici, non ce ne saranno più. Ed è per la vergogna di non sapere morire come loro che scacazziamo sui loro cadaveri. Ne facciamo feticcio e se fosse cosa sincera la memoria di ciò che fu, invece che produrre comunicati stampa di trionfo, se solo fossimo in grado di metterci sugli attenti, invece che mettere la morte in mostra, dovremmo concedere loro l’onore delle armi, offrire loro un sudario.

Sempre hanno saputo morire i nemici. E tutti quei corpi, fatti poltiglia dalla macelleria della rappresaglia, nel film della nostra epoca diventano tutti uguali: Benito Mussolini, Che Guevara, Gesù Cristo, Salvatore Giuliano. E con loro, anche i nemici morti ma fatti assenti, tutti uguali: da Osama bin Laden a Rudolph Hess. Fatti fantasmi per dare enfasi al feticcio, come quel Gheddafi armato e disperato che nel suo combattere e urlare, simile a un selvaggio benedetto dal coraggio e dalla rabbiosa generosità, mette a nudo la nostra menzogna.

A ogni pozza di sangue corrisponde l’onta della nostra vergogna e un Pupo che parla a Radio Uno e annunzia “una notizia meravigliosa” e si rallegra di Muammar Gheddafi, morto assassinato, è solo uno che si trova a passare e molla un calcio al morto. Pupo è come quello che sabato scorso, dalle parti di San Giovanni, vede la Madonnina sfasciata appoggiata a un muro e non sapendo che fare le dà un’altra pestata, non si sa mai. Così come il black bloc, anche Pupo, è una comparsa chiamata a raccolta nella montante marea del nostro essere solo canaglie. La signora Lorenza Lei, direttore generale della Rai, dovrebbe cacciarlo lontano dai microfoni della radio di stato uno così ma siccome il nostro vero brodo è la medietà maligna, figurarsi quanto può impressionare l’offesa al morto. Pupo, infatti, è l’eroe perfetto per il peggiore degli Inferi, l’Ade cui destinare quelli che non sanno darsi uno stile nel morire.

martedì 18 ottobre 2011

Fate parlare gli indignati e capirete la vera ragione per cui sono precari. (di Pietrangelo Buttafuoco)


Troppo comodo trasformare in fascisti i “compagni che sbagliano”, gli incappucciati che si prendono i cortei per fare la festa agli indignados. Troppo facile, poi, risolverla con lo sfascismo. In questa vicenda di borghesi stradaioli non c’entra nulla, infatti, il santo manganello. Non c’è il Novecento, non c’è la “Rissa in Galleria” e neanche “Città che sale”. Tutt’al più c’è quell’Ecce Homo di Marco Pannella scaracchiato da una manica di benpensanti giacobini.

In attesa che ci scappi il morto è bene che si sappia che in queste stupide lagne giovanilistiche – cui può benissimo fare il paio la dichiarazione di Mario Draghi, ben lieto di scivolare dentro la demagogia – non c’è una sola scazzottatura, non un solo frammento dell’Avanguardia storica e sempre restando in attesa che ci scappi il morto si può stare sicuri di un fatto: neppure la ribellione delle masse può cominciare da piazza San Giovanni perché se solo ci fosse stata una goccia di olio di ricino si sarebbero sentite le note di “Rusticanella”, la marcia della marcia su Roma.

Troppo comodo, poi, pensare che possano fare epoca. Sarà globale, infatti, la mobilitazione – ci sarà tutta una canea a muoversi – ma tutti questi indignados sono così a corto di concetti, di parole e di raziocinio che è proprio un’esagerazione andargli addosso con gli idranti della forza pubblica. E’ sufficiente farli parlare. Di tutti questi indignados, infatti, quelli interpellati a caldo, dopo gli incidenti di sabato – ma anche a freddo, a bocce ferme – non ce n’è uno che sappia fare la “O” col bicchiere. Il povero David Parenzo, in collegamento dalla piazza ancora rovente per “In Onda” su La7, dai leader raccolti intorno al suo microfono non riusciva a cavargli un costrutto che fosse uno, due parole messe in croce, tre neuroni in grado di sostenere una spiegazione del loro essere indignati. Stessa fatica per Bianca Berlinguer, sempre in collegamento con i giovani indignati al Tg3 “Linea notte”, che non riusciva a farsi dare una frase di senso compiuto da questi avanguardisti, incapaci perfino di dare una risposta a Mario Draghi.

Certo, troppo comodo fare gli stronzi, come stiamo facendo, con dei ragazzi precari che non hanno potuto coltivare la consecutio temporum a causa dei tagli imposti alla scuola pubblica dalla Mariastella Gelmini. Troppo comodo, forse, fare dei paragoni storici perché, insomma, se non hanno la caratura degli Adriano Sofri e dei Tino Vittorio, se non si sono esercitati nella traduzione dall’italiano in latino dei “Pensieri” di Mao nelle aule di Ettore Paratore, se non hanno alle spalle “Gioia e Rivoluzione” degli Area ma sono soltanto pecorelle della farneticazione global, amplificata tanto da Internet quanto dagli incappucciati, indignados assai impazienti, ecco: non solo fa impressione vedere quanto siano ignoranti, ma non sono neppure antagonisti. Altrimenti la guerra alla finanza internazionale la farebbero con i libri di Massimo Fini se non proprio con i “Cantos” di Ezra Pound o con “Cavalcare la Tigre” di Julius Evola. E vederli, come si vedono, con quel puzzolentissimo libretto di Stéphane Hessel, “Indignatevi”, li condanna definitivamente alla pochezza del gregge, tutto un belare in sottovuoto marketing. E sono ignoranti a un livello tale che se lo meritano di essere precari, altrimenti sarebbero come i loro coetanei d’India, di Cina e di Corea che spadroneggiano nella tecnica e nelle invenzioni e non certo in Scienze delle comunicazione.

E non producono estetica, infatti, questi indignados – come possono fare i loro coetanei nelle banlieue di Parigi con tanto di film come “L’odio” di Mathieu Kassovitz, con Vincent Cassel – e non avranno mai l’avventura di fare la rivolta, come accade in Egitto dove però, signori miei, nei pressi del Canale arrivano le motovedette della Repubblica islamica dell’Iran, altro che i contestatori della Val di Susa.

Non sono antagonisti, infine, perché è troppo comodo fare la rivoluzione con la corda dimenticata nei magazzini del signor Lenin. E se non si riesce a farsela vendere, la corda, dagli stessi capitalisti destinati a farsi impiccare ma tanto più ad arricchirsi, non si può restare a farsi aspergere con queste polluzioni dei giovanotti borghesi in attesa che la rivoluzione trovi una propria lingua perché il linguaggio, intanto, ha retrocesso tutti i bennati d’occidente nel balbettio mondialista e i peccati contro lo spirito del male, si sa, non si perdonano in questo mondo.

diPietrangelo Buttafuoco, da "il Foglio"

domenica 16 ottobre 2011

I nostri 'indignados' complici morali degli scontri.



All'indomani della giornata in cui Roma è stata devastata dai soliti noti, è d'obbligo fare delle riflessioni su quanto accaduto, delle riflessioni oneste e che facciano i dovuti distinguo.
Anche noi, da Destra, siamo contro la finanza speculativa, il sistema bancario degenerato e i poteri forti della finanza mondiale. Il vero problema in questo momento non sono i governi, ma sono i vari Moody's, Fitch, Standard & Poor's, i fondi finanziari speculativi, l'Unione Europea incapace di reagire unitariamente, ecc..
I governi tagliano la spesa, spesso non centrano però i dovuti sprechi (e in questo faccio autocritica al governo italiano), e non riescono ad imporre la supremazia della politica nei confronti dell'economia, anche se, ultimamente in Italia sembra che qualcosa si stia muovendo, come dimostrano le recenti declassazioni del nostro debito cui sono seguiti rialzi della Borsa di Milano e dei titoli delle nostre aziende.

Ma la grande manifestazione del 15 Ottobre che si è svolta a Roma, al di là del capitolo incidenti e scontri con la Polizia, avrebbe centrato l'obiettivo della protesta degli "indignados" del resto del mondo? La risposta è semplice, no.

Mentre in tutto il mondo si protestava contro la finanza speculativa e il turbocapitalismo che affama le Nazioni e i Popoli, in Italia gli slogan erano sempre quelli, vecchi, consumati, contro il governo e contro Berlusconi. Lo dimostrano le bandiere del movimento Antifascista, le bandiere No Tav, i movimentisti terremotati dell'Aquila, i Cobas, i collettivi studenteschi, e le numerosissime bandiere con la falce e martello, bandiere della Palestina (!!!!!!), ecc... Ma cosa centrano tutte queste sigle con la crisi finanziaria?? Come diversi commentatori hanno avuto modo di intuire, come Pansa o De Angelis sui loro rispettivi giornali, questi sedicenti "indignados" hanno sbagliato a mirare. Dietro gli striscioni contro la crisi si celano sempre le stesse faccie, ovvero quelle di coloro che scendono in piazza con cadenza quasi mensile contro la Gelmini, contro la Legge "Bavaglio", contro Berlusconi in generale, senza aver capito che se Berlusconi cade al governo ci andranno proprio coloro che dovrebberop realmente contestare, ovvero i succubi dei poteri forti. Non ci scordiamo che il caro vecchio Prodi, uomo di sinistra, aveva lavorato per la Goldman Sachs, una delle principali banche americane responsabili di questa crisi. Pensate forse che i suoi eredi radical chic sinostrorsi non sarebbero anche loro schiavi dei vari Draghi, Passera, ecc? Infatti, a supportare quanto dico ci sono le dichiarazioni di questo giorni dei vari Draghi, Della Valle, Montezemolo, tutti critici sull'operato del governo Berlusconi, i quali "capiscono questi ragazzi che protestano perchè hanno ragione". Con che coraggio Mario Draghi, uomo fortissimo della superfinanza italiana e mondiale dice queste cose?!?!?!? Se gli indignati fossero veramente tali, sarebbero andati a contestarlo sotto la sua abitazione. Ma evidentemente qualcosa non quadra.

A riprova di quanto penso ci sono, giusto per venire ai fatti romani, gli atteggiamenti dei manifestanti "pacifici" nei confronti dei black block. Se è vero che qualcuno di loro ha messo alle strette i delinquenti vestiti con caschi e felpe nere urlandogli contro e forse persino consegnadoli alla polizia, questi sono stati casi isolati. Basta aver assistito alla diretta su Corriere.it della manifestazioni per capire che molti, troppi manifestanti pacifici giustificavano e coprivano i teppisti. Una scena in particolare mi ha colpito: mentre polizia e carabinieri si organizzavano e si dirigevano verso Piazza San Giovanni, sui marciapiedi vi erano gli ultimi manifestanti che si erano attardati lungo la strada del corteo, i quali urlavano "merde", "servi dello stato", "vergogna" all'indirizzo delle forze dell'ordine. Per non parlare delle innumerevoli interviste in cui alcuni manifestanti dicevano che "è colpa degli automobilisti, non dovevano lasciare la macchina lì", oppure "in mezzo a tutta questa gente è comprensibile che ci siano persone che reagiscono così". Questa complicità morale di tanti 'indignados' dovrebbe far riflettere sulla reale entità di questi cortei che troppo spesso finiscono per mettere a ferro e fuoco le città, come succede spesso a Milano o come era già successo a Roma al corteo degli studenti il dicembre scorso.

Forse il nostro governo dovrebbe avere meno timore e usare più pugno di ferro, fregandosene delle critiche. Negli Usa così come in Inghilterra sono state arrestate molte persone perchè avevano provato a sfilare in zone off-limits. In Italia invece, per paura di critiche e sommosse, si consente agli anarchici di bruciare le camionette dei carabinieri. I nostri poliziotti sono mandati allo sbaraglio contro questi delinquenti organizzati, e basta vedere i video di ieri per notare benissimo come la mancanza di una strategia per contenere i black block abbia portato alla distruzione della camionetta dei carabinieri e ad altri rischi per il personale a terra. Che fine faranno infine i pochi fermati e arrestati, appena 22 in tutto? La magistratura li rimetterà fuori subito, come ha già fatto?

Giusto per avere alcuni dati:
una chiesa violata con distruzione di crocefisso e statua della madonna
decina di auto e motorini bruciati
due case date alle fiamme
una sede del ministero della difesa bruciata
20metri cubi di sanpietrini divelti
130 feriti tra forze dell'ordine e manifestanti
decine di negozi distrutti e saccheggiati, tra cui un alimentari
un tricolore strappato

E' ora di svegliarsi cari ragazzi di Destra e caro Governo. Scendiamo noi in piazza centrando l'obiettivo della crisi, e impegnamoci in prima persona per uscire da questa situazione. Bruciare auto, magari di poveracci che non arrivano a fine mese, non serva a nulla.

mercoledì 5 ottobre 2011

RICORDANDO NANNI E GLI ALTRI MORTI DI STATO..

31 anni fa l'addio all'attivista di Tp. Oggi in carcere si muore ancora, ma ora la società non è più sorda



"Fascista suicida in carcere. Era implicato nell'omicidio Serpico". Il trafiletto uscito il 6 ottobre del 1980 sul Corriere della Sera non dice nulla ma, in qualche modo, dice tutto. È una notiziola, una "breve", che già di per sé spiega: il fatto non è importante. Secondo elemento: il ragazzo deceduto non è una persona, è "un fascista". Terzo punto: il tizio è morto suicida. Non un accento di dubbio o perplessità. Infine: il fascista era comunque "implicato nell'omicidio Serpico". Insomma, non uno stinco di santo. Così, trentuno anni fa, il principale quotidiano italiano liquidava la morte di Nazareno De Angelis, detto Nanni, uscito cadavere da una cella in cui era stato sbattuto con l'accusa (infondata) di aver ucciso un agente. Aveva 22 anni.

Trentuno anni dopo
Dopo tanti anni da quel triste giorno molte cose sono cambiate. Alcune in meglio, altre in peggio. Altre ancora sono rimaste tali e quali. Il sistema carcerario è probabilmente peggiorato. Le leggi speciali degli anni di piombo non ci sono più, gli abusi delle forze dell'ordine sì. L'antifascismo, nei media, persiste ma, bontà loro, ormai solo in pochissimi sono davvero convinti che uccidere un fascista non sia reato. I casi recenti che hanno visto morire Gabriele Sandri, Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi hanno trovato una vasta eco sui media, suscitando sdegno e preoccupazione in strati trasversali della società civile. Gabriele, l'ultras ammazzato da un poliziotto pistolero all'autogrill. Stefano, il piccolo pusher di periferia martirizzato fra celle, tribunali e ospedali. Federico, il giovane problematico che incontrò una pattuglia della polizia e ne uscì massacrato. Tre storie diverse, tre ragazzi diversi, con l'unico filo conduttore di aver cessato di vivere dopo aver avuto a che fare con lo Stato e i suoi servitori.

Lo sdegno in libreria
Gabriele, Stefano e Federico, ovviamente, non sono le prime vittime degli abusi di Stato. Sarebbe bello fossero le ultime, in ogni caso. Ma sappiamo bene che la previsione è sin troppo ottimistica. Sta di fatto che rispetto a qualche anno fa anche semplicemente l'eco mediatica di fatti come questi è aumentata esponenzialmente. Facendo un giro in libreria, l'impressione è che sul tema dei cosiddetti "omicidi di Stato" la sensibilità stia cambiando. Facciamo una panoramica: negli ultimi tempi sono usciti Quando lo Stato uccide, di Tommaso Della Longa e Alessia Lai (Castelvecchi), 11 novembre 2007. L'uccisione di Gabriele Sandri - Una giornata buia della Repubblica, di Maurizio Martucci (Sovera), Vorrei dirti che non eri solo. Storia di Stefano mio fratello, di Ilaria Cucchi e Giovanni Bianconi (Rizzoli), Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri, di Luigi Manconi e Valentina Calderone (Il Saggiatore), È stato morto un ragazzo. Federico Aldrovandi che una notte incontrò la polizia, di Filippo Vendemmiati (Promo Music), Aldro, di Francesca Boari (Corbo Editore). Solo una piccola selezione, fra i tanti saggi che affrontano l'argomento. Per non parlare dei saggi più articolati che affrontano la delicata questione della crisi del sistema carcerario. È il segnale che qualcosa si sta muovendo.

Una volta, invece...
Come si ragionava, invece, qualche decennio fa? L'opinione pubblica becera e qualunquista non si curava (e in fondo non si cura) di ciò che accade al di là del ristretto orizzonte perbenista cui essa appartiene. Ultras, spacciatori, immigrati, ma anche attivisti politici o persone impegnate nel volontariato sono, per motivi diversi, al di fuori di questa sfera d'attenzione. Ciò che accade a quei tizi non fa testo, forse è anche giusto. Comunque meglio a loro che a me, pensa il piccolo borghese. Ma qui stiamo parlando del ventre molle della Nazione, fatto di meschinità gelatinosa ed egoismo sociale. Quello che è più interessante notare è invece il cedimento verso il becerismo da parte dell'opinione pubblica illuminata, progressista, che dagli anni '70 a oggi continua a dar lezioni. Quando ad Acca Larentia Stefano Recchioni (diciannove anni) cadeva sotto i colpi del capitano Sivori, ad esempio, Il Messaggero si affrettava a spiegare: «Stefano Recchioni, seppur non iscritto formalmente al Msi, era un elemento piuttosto attivo nella piazza, definito tra i più "turbolenti". Era stato arrestato dal terzo distretto di polizia nell'agosto del 1976 [...]. Il processo fu celebrato l'anno scorso e Recchioni ne uscì assolto per insufficienza di prove» (9 gennaio 1978). Era un turbolento, se lo meritava, par di capire. E quando Alberto Giaquinto veniva colpito alle spalle dal poliziotto Alessio Speranza, Lotta Continua poteva scrivere (inventando tutto di sana pianta): «[...] Uno dei fascisti si è girato impugnando una pistola di grosso calibro, ma non ha fatto in tempo a premere il grilletto che uno degli agenti ha fatto fuoco, colpendolo alla testa. Poco dopo il giovane è stato identificato in Alberto Giaquinto, 22 anni [in realtà ne ha meno di 18 - ndr]. La sua appartenenza alle squadracce fasciste è stata rivelata alla stampa dalla sorella» (11 gennaio 1979). In "inchieste successive", il foglio comunista parlerà di rampolli viziati e violenti, di rapine e spaccio d'eroina. E si trattava di un ragazzino ucciso dalla "odiata" polizia, nel corso di una manifestazione contro una sede della "odiata" Dc. Ma evidentemente, all'epoca, Sofri e compagni avevano un odio più forte. Che poteva giustificare ogni cosa. Persino l'abuso poliziesco e reazionario.

Adriano Scianca da "il secolo d'italia"

sabato 1 ottobre 2011

SOLIDARIETA' AL POPOLO KAREN CHE LOTTA CONTRO CINA E BIRMANIA!

Il "nuovo" governo birmano sorride alla comunità internazionale promettendo aperture e facendo incontrare con gli inviati europei e americani i suoi uomini più presentabili, di solito anziani politici impotenti, dai modi gentili e dalle rassicuranti strette di mano. Intanto, mentre Aung San Suu Kyi per la gioia dei mezzi di comunicazione del regime assiste alle partite di calcio internazionali nello stadio di Rangoon, decine di battaglioni del Tatmadaw, l'esercito del Myanmar, sferrano una massiccia offensiva contro le minoranze dell'Est del Paese, provocando la fuga di decine di migliaia di civili e la distruzione di interi villaggi. Da cinque giorni le truppe birmane stanno martellando le posizioni del Kachin Independence Army con artiglieria pesante (mortai da 81 e 120mm, cannoni da 105mm) lungo la direttrice del nuovo gasdotto che nelle intenzioni di Cina e Myanmar dovrà portare il gas birmano fino alla provincia dello Yunnan.
Una operazione "per commissione" si potrebbe dire, se non fosse che tra i maggiori beneficiari di questa vera e propria pulizia etnica non ci sono soltanto le compagnie energetiche cinesi ma anche i generali birmani, sempre molto attenti alle sorti del loro portafogli personale. La prossima area di operazioni sarà, invece, molto probabilmente alcuni chilometri più a Nord, a ridosso dei cantieri cinesi della Diga di Myitsone, ciclopica struttura che prevede l'inondazione di una superficie di territorio più ampia di Singapore e la distruzione di decine di villaggi Kachin.


Il gioco delle parti continua, e tra gli attori principali c'è l'Unione europea, che continua a ignorare quello che accade veramente in Birmania. Continua a ignorare che soltanto nell'ultimo mese di guerra sono stati denunciati 37 stupri commessi dai soldati birmani ai danni di donne (e bambine) Karen, Kachin e Shan. E si parla soltanto dei casi documentati e verificati. L'Unione europea, allineata sulla posizione della Germania e della influente organizzazione non governativa "Friedrich Ebert", una fondazione legata al partito socialdemocratico tedesco e con sorprendenti canali di comunicazione con il regime birmano, continua a ignorare che per le minoranze etniche non è previsto alcun futuro nel disegno dei generali di Rangoon. Quello che interessa veramente, quello che fa gongolare i banchieri è l'ampia garanzia di business assicurata dal governo birmano, che ha intrapreso una decisa manovra di privatizzazioni nazionali e di aperture al mercato internazionale.
Per questo fa sorridere amaramente la posizione "pacifista" della Fondazione Ebert: gli aderenti all'organizzazione sostengono che non si debba dare alcun supporto ai movimenti armati delle minoranze etniche (le quali, per inciso, rappresentano almeno il 40 per cento della popolazione birmana), in quanto questo non farebbe altro che prolungare la guerra. Tra gli obiettivi ufficialmente dichiarati della Fondazione c'è anche quello del perseguimento di una "globalizzazione solidale", posizione in perfetta sintonia con la filosofia della Chevron e della Total, le multinazionali che da lungo tempo sfruttano le risorse energetiche dei territori Karen e Shan facendo trasferire in "villaggi modello" i civili che si rifiutano di lasciare la loro terra. Un'iniziativa che si traduce in una sorta di deportazione, presentata sotto vesti, appunto, "solidali".

I Karen stanno respingendo gli attacchi birmani lungo un'altra importante "linea commerciale", quella della grande strada in costruzione tra la città thailandese di Kanchanaburi e il porto birmano di Tavoy. L'Unione Nazionale Karen, per bocca del suo segretario nazionale, la signora Zipphora Sein, aveva annunciato qualche giorno fa che la guerriglia avrebbe impedito il proseguimento dei lavori a meno che non fossero state rispettate alcune condizioni fondamentali per la tutela del territorio e per il rispetto dei diritti degli abitanti del distretto attraversato dai cantieri. I camion delle compagnie coinvolte nella costruzione erano stati bloccati dai guerriglieri Karen. Tra questi, diversi automezzi carichi di materiale cinese destinato alle grandi opere nell'area portuale birmana. Un'area in cui si sentirà ben presto parlare anche il tedesco: nel giugno di quest'anno, infatti, il direttore della fabbrica di armi e munizioni "Fritz Werner", Joerg Gabelmann, ha incontrato alti ufficiali della giunta birmana per stringere un «accordo di reciproca collaborazione su porti e aeroporti».

Si tratta di una situazione da cui emergono almeno due dati o, meglio, due conferme. La prima è che le elezioni celebrate in Birmania quasi un anno fa non hanno cambiato né metodi, né intenzioni, né fisionomia del governo. Benché il mondo occidentale le abbia salutate come un passo positivo verso la democrazia, il Paese è ancora solidamente nelle mani di una giunta militare ben lontana da quell'aura di accettabilità che in molti, ora, vorrebbero conferirle. Il secondo dato è che la guerra che questa giunta porta contro le minoranze etniche - e che miete vittime tra contadini, allevatori, monaci, donne e bambini che chiedono solo di restare a vivere sulla terra che abitano da sempre - è molto meno lontana di quanto appaia, è tutt'altro che una questione interna. Si consuma lungo le vie dei grandi affari internazionali che passano, sì, per la giungla, i villaggi e le province del Myanmar, ma che puntano direttamente a Pechino, Shangai, Bangkok, Tokio, Parigi, Berlino, Mosca, Londra, Tel Aviv, alla California, a Singapore e a tutti i luoghi in cui quegli affari vengono concepiti in collaborazione con la giunta militare e con la distrazione delle democrazie occidentali.

Franco Nerozzi - Comunità solidarista Popoli Onlus

mercoledì 21 settembre 2011

Rosario Livatino, martire della Mafia. Per non dimenticare.


Ventuno anni fa, moriva, ucciso da un commando di sicari mafiosi, Rosario Livatino, giovane sostituto procuratore di Agrigento.

Inchieste scomode erano partire dall'ufficio di Livatino, come quella sulla cosiddetta "tangentopoli siciliana", e, si dice, anche filoni di inchiesta che coinvolgevano parti deviate di Stato e massoneria in contatto con la mafia sicula.

Mancava circa un mese al giorno del suo 38esimo compleanno; Rosario uscì di casa, quel 21 settembre del 1990, senza scorta, a bordo della sua auto, e fu affiancato lungo la strada per Agrigento daun automobile di sicari, che lo uccisero sparandogli in volto.

Rosario è un grande esempio per tutti noi, esattamente come lo sono i giudici Falcone e Borsellino, di un uomo che ha dato la sua vita per un sacrosanto ideale, quello della giustizia, per lottare contro il vigliacco e infame intreccio tra Mafia e Stato sul quale ancora oggi non è stata fatta luce.

martedì 20 settembre 2011

L'ambasciatore palestinese "L'Italia deve assumere un ruolo di primo piano nel Mediterraneo"


«Come popolo palestinese abbiamo scelto di rivolgerci all'Onu perché è la sede della legalità internazionale». Il 23 settembre l'Anp formalizzerà la richiesta di riconoscimento dello Stato della Palestina. Alla vigilia di questo atto, che tanto fa dibattere la comunità internazionale, l'ambasciatore palestinese in Italia, Sabri Atayeh, spiega perché «dopo anni di tentativi abbiamo scelto questa via, che è la più trasparente e impegnativa possibile, invece di dar vita, ad esempio, a iniziative politiche unilaterali». «Chiediamo - sottolinea - che venga riconosciuto quello che è un nostro diritto. Siamo ormai forse l'unico popolo ancora sotto occupazione».

Il riconoscimento prevede anche quello di Israele?
Certamente. Da tempo invochiamo due Stati per due popoli, e il riconoscimento di Israele è un passo indispensabile per la nostra esistenza come Stato.

Il mondo arabo sta vivendo un momento di profonda trasformazione, la vostra iniziativa alle Nazioni Unite va vista come un portato della cosiddetta Primavera araba?
Nasce prima della primavera araba, in un certo senso la anticipa, è autonoma. Tuttavia oggi si inscrive in questo grande e importantissimo scenario e credo che soprattutto l'Europa debba tenerne conto. I Paesi occidentali, soprattutto europei, hanno appoggiato sin dall'inizio le rivoluzioni democratiche di Tunisia, Egitto, Libia e altri Paesi arabi. Sarà difficile spiegare a questi Paesi un eventuale voto contrario al riconoscimento dello Stato palestinese. Offrirebbe il fianco a una strumentalizzazione anti occidentale, che avvantaggerebbe solo le forze meno democratiche presenti nel mondo arabo.

Le democrazie occidentali appaiono titubanti, e anche l'Italia non ha ancora dichiarato come voterà. Eppure solo pochi mesi fa la vostra delegazione qui a Roma, per volere del presidente Napolitano, è salita a grado di missione diplomatica e la Svezia vi ha riconosciuto un'ambasciata, per non parlare dell'impegno di un anno fa di Obama, proprio all'Onu.
L'upgrading delle nostre rappresentanze diplomatiche è stato un passo importante di cui siamo grati. Tuttavia occorre distinguere queste iniziative più istituzionali dal piano politico. L'Europa ha da sempre avuto una prudenza politica nel trattare la costituzione reale dello Stato palestinese, prudenza che però è mal interpretata da Israele e letta come un'approvazione di fatto del suo operato nei nostri confronti. Credo che l'Europa debba comunicare meglio questa sua prudenza, sgombrando il campo dai possibili equivoci e sottraendosi a strumentalizzazioni.

Lei parla di Europa come di una realtà con una politica davvero comune. Eppure le difficoltà ad accordarsi sono sotto gli occhi di tutti...
Personalmente sono convinto che l'Europa abbia un ruolo rilevantissimo nel mondo, soprattutto sulle decisioni di politica internazionale. Di più, mi sento di rivolgere un appello in particolare alle autorità italiane perché sia proprio l'Italia a ricoprire un ruolo di avanguardia nel trattare i nodi geopolitici del Mediterraneo e della politica mediorientale, rafforzando la posizione europea. L'Italia, Paese amico di Israele e di tutti i Paesi del Mediterraneo, ha le carte in regola per farlo.

Come legge l'attivismo della Turchia?
Come il frutto dell'arenarsi del processo di ingresso in Europa. Sono convinto che, in gran parte, Erdogan stia cercando un ruolo ancora più forte proprio in vista della sua interlocuzione con l'Europa.

Non crede a un ritorno dell'Impero Ottomano, come talvolta si sente dire?
No. Non credo che ci siano spazi per una reale regia turca del Mediterraneo. Inoltre, dopo la Primavera araba, sarà molto difficile che un Paese arabo accetti ingerenze o influenze pesanti da parte di altri Stati, sarebbe in contraddizione con il principio di autodeterminazione che le rivoluzioni democratiche hanno inteso affermare.

E poi fra arabi e turchi non sempre è corso buon sangue…
Diciamo che non sempre c'è stata simpatia. Però è indubbio che le posizioni decise che il premier Erdogan ha preso anche di recente sono di estrema importanza e gliene siamo grati.

Lei parla di paesi arabi, ma si tratta anche di paesi islamici, e l'islam è un collante cui lo stesso Erdogan fa esplicito riferimento.
La Palestina è per metà, e forse di più, cristiana. In malafede, ne sono sicuro, in molti tendono a dimenticarlo, ma la Palestina è la terra dei cristiani, basti pensare a Betlemme. Noi stessi palestinesi, quando parliamo della nostra terra in modo familiare, la chiamiamo "al muqaddasa", terra santa, e non facciamo allusione solo alla moschea di al Aqsa e alla spianata delle moschee, ma anche ai luoghi di Gesù e dell'Antico Testamento. Da sempre viviamo insieme, e come un solo popolo festeggiamo il Ramadan e il Natale.
Ha fatto riferimento a Gerusalemme, al Quds, in arabo, la Santa, ma anche la contesa, visto che Israele la vorrebbe coma capitale dello Stato ebraico.
Nella risoluzione presentata all'Onu, accettiamo che Gerusalemme possa essere anche capitale di Israele, doppia Capitale, un po' come Roma per l'Italia e lo Stato vaticano.

La pensa così anche Hamas?
La questione di Hamas, al di là delle strumentalizzazioni, è una questione in sé poco rilevante. Mi spiego: è un partito di opposizione, un partito estremista se si vuole, ma di opposizione al nostro stesso governo. E gli accordi si fanno con i governi. Noi stessi non abbiamo mai sollevato al governo Netanyahu il problema dei partiti estremisti di Israele. Eppure ci sono.

Come quelli che vorrebbero trasferire in territorio palestinese gli arabi che vivono in Israele?
Ad esempio. Gli arabi che vivono in Israele sono israeliani. Pensare diversamente sarebbe ritornare a logiche quasi di deportazione.

Che cosa vi aspettate davvero con il voto dell'Onu?
Che questo passaggio formale importantissimo possa rilanciare il negoziato diretto con Israele, che noi vogliamo più di tutto. Sappiamo bene che senza questo rapporto diretto con il governo israeliano l'esistenza, non solo sulla carta, del nostro Stato è impossibile. Per questo ci auguriamo che il voto della settimana prossima ci permetta di riprendere questo negoziato e di portarlo davvero a buon fine, per il bene nostro, di Israele e di tutto il mondo.

Serena Forni Tajé dal "Secolo d'Italia" 17-09-2011

venerdì 16 settembre 2011

ALEMANNO: PROTESTO PER AIUTARE IL PDL E IL GOVERNO, DA DESTRA, CONVINTAMENTE.


Alemanno sindaco in piazza contro Alemanno esponente del Pdl? Per molti commentatori, la presenza del primo cittadino di Roma alla manifestazione indetta oggi dagli enti locali contro la manovra si riassume in questa scissione esistenziale. Che però è del tutto falsa, spiega l'interessato. «Nella mia posizione - spiega - c'è autenticità e buonafede, io cerco non lo scontro ma il dialogo con il governo per trovare una soluzione».

Sindaco, oggi in piazza contro il governo?

"No, la nostra protesta non è contro nessuno ma propositiva e costruttiva. L'Anci e le Regioni non sono partiti politici, ma organizzazioni di rappresentanza di istanze istituzionali. Il loro ruolo - e la nostra intenzione - è di fare un accordo con il governo, non di sfasciare la manovra. Dico di più, è importante che il governo si mostri più reattivo nei confronti delle nostre ragionevoli sollecitazioni proprio per stanare, invece, quelli che vogliono rendere questo confronto strumentale in chiave anti-governativa."

C'è questo atteggiamento di ascolto che sollecitate?

"Da parte di alcuni certamente sì. Maroni e Letta sono sicuramente quelli che hanno dimostrato più interesse. Anche perché il ministero degli Interni è l'istituzione preposta a confrontarsi con gli enti locali."

Ma queste sollecitazioni a ripensare, ad esempio, i tagli agli enti locali non arrivano fuori tempo massimo?

"No. Era indispensabile per il Paese che la manovra fosse approvata per evitare ulteriori speculazioni finanziarie. Aver fatto questa elementare considerazione, peraltro in linea con quanto sollecitato dal Capo dello Stato, mi è valso da parte de il Riformista l'appellativo di "Gianni Bifronte". Questo dimostra l'autenticità e la buonafede della mia posizione, che cerca non lo scontro ma il dialogo con il governo per trovare una soluzione."

Ma la manovra ieri è passata senza modifiche…

"Ma con l'approvazione di un ordine del giorno molto chiaro e forte presentato dai partiti della maggioranza, e in particolare dall'onorevole Saltamartini, che chiede l'istituzione di una commissione paritetica che riveda daccapo tutti i temi economici e istituzionali che riguardano il rapporto tra enti locali, Regioni e il governo. Gli effetti più negativi della manovra entreranno in vigore dal primo gennaio prossimo, quindi abbiamo tutto il tempo di rettificare gli interventi sugli enti locali affinché la politica dei tagli non provochi effetti dannosi per gli interessi dei cittadini sul territorio.

La stampa ha preferito rappresentare la sua come una posizione di contrasto…

"Credo di aver invece fatto un favore al centrodestra, dando la giusta rappresentazione del problema e offrendo una soluzione nell'ambito delle normali relazioni istituzionali. Ritengo che sia necessario mettere sull'avviso l'esecutivo rispetto agli effetti gravi e indesiderati che si produrranno nei rapporti con i cittadini."

Cioè?

"Se il governo fa tagli diretti sul welfare ha la diretta percezione degli effetti che ne derivano, ma se opera tagli a Comuni e Regioni spesso non si rende conto dell'impatto sociale devastante di questa riduzione di spesa. Se ci dimezzano i fondi per il trasporto pubblico locale, il risultato è quello di mandare in default aziende come l'Atac, oppure di applicare tariffe che non sono socialmente accettabili. Se ci bloccano gli investimenti per evitare di sforare il patto di stabilità, l'effetto è quello di bloccare risorse già disponibili per gli investimenti sul territorio (43 miliardi di euro su tutti i comuni, di cui 10 già disponibili) e quindi di dare un altro colpo alla già debolissima crescita del Paese. Questo significa anche bloccare i pagamenti per avanzamento lavori alle imprese, congelare i cantieri già aperti e così via…"

E quindi che proponeva di fare nella manovra?

"Credo che dopo l'aumento dell'Iva, sia imprescindibile una tassazione sui grandi patrimoni e un aumento dell'età pensionabile. Già nel 2001 io proponevo l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie che soltanto quest'anno è stato introdotto, perché chi lavora e fa impresa non può essere tassato più di chi ha rendite o patrimoni improduttivi. Questo è non solo iniquo, ma al contrario una logica di sviluppo economico.. "

E le pensioni?

"Chiaramente l'età pensionabile va rivista. I limiti attuali sono anacronistici e non rispecchiano la realtà sociale dei nostri tempi. Espellere una donna di sessant'anni dal mondo del lavoro non è una tutela, è una vessazione."

Ma in qualche modo sarà necessario ridurre anche i costi degli enti locali…

"Ma questo si può fare in altro modo, senza creare dissesti. Alleggerire la struttura si può: sfoltendo e riducendo la stratificazione di strutture che si è generata dalla nascita delle regioni in poi, ma anche riducendo la quantità di enti previdenziali e presenze statali sul territorio. In altri termini via le province, che devono diventare solo enti di secondo grado rappresentative dei comuni, e meno uffici territoriali degli enti statali. Altro che uffici di rappresentanza di Ministeri al Nord…."

C'è anche il nodo delle municipalizzate…

"Che vanno sicuramente liberalizzate, ma se si fa come previsto nella manovra saremmo costretti a una svendita. Questa manovra deve essere l'occasione per infrangere le resistenze lobbistiche che hanno impedito nei decenni il cambiamento, anteponendo la difesa di rendite di posizione all'interesse collettivo. Bisogna scuotere la Lega, che è stata all'inizio il motore del federalismo e oggi sembra invece farsi portavoce del ritorno al centralismo. Non possiamo perdere questa occasione anche per restituire un ruolo al Pdl, che deve essere quello di stimolare un rilancio dell'azione di governo, aprendo un confronto sull'agenda delle riforme con tutti coloro che ci stanno, nella maggioranza di governo e nell'opposizione."

Lei si fa promotore di questa proposta con Alfano?

"La fondazione e i circoli della Nuova Italia si riuniranno dal 23 al 25 a Roma per elaborare, assieme agli interlocutori politici e istituzionali, una serie di proposte rivolte al Pdl e al Governo. Il primo incontro pubblico sarà tra me, Gasparri e Angelino Alfano, proprio sul Pdl come partito di partecipazione. Ma ci confronteremo anche con Casini e Vendola per dimostrare la diversità dei valori che c'è tra i vari schieramenti politici. È solo così che si supera l'antipolitica: bisogna restituire alla Politica la sua vera capacità di rappresentare valori e idee alternative senza per questo sottrarsi al confronto e alla ricerca costruttiva del Bene comune."

Marcello De Angelis da "il Secolo d'Italia" , 15/09/2011

domenica 11 settembre 2011

11 Settembre. Dieci anni dopo l'occidente è il nemico di sè stesso.

di Marcello Veneziani


Dieci anni fa finiva il mondo. Era una gior­nata qualunque, non s'avvertiva aria d'apo­calisse ma di fine estate. E invece finiva il mondo. La svolta millena­ria che temevamo da bambini per il Duemila arrivò l'anno dopo. E ar­rivò come una fiction, in tv, e noi increduli a vedere e capire se era davvero un film di genere apocalit­tico o la realtà nuda e cruda. Poi ci convincemmo che non era la fine del mondo ma era finita la fine del­­la storia, proclamata un decennio prima; la storia ricominciava, alla grande. Islam contro Occidente. Terza Guerra Mondiale diffusa. Non più est contro ovest ma sud contro nord, non più comunismo ma fanatismo para-religioso, non più scontro di superpotenze ma focolai di guerra e terrore disseminati nel mondo. Avvertimmo l'11 settembre come l'inizio di una nuova sanguinosa storia mondiale, il campanello d'allarme di una chiamata globale alle armi. E invece no, continuarono guerre e guerrette, conflitti locali, qualche attentato, ma la guerra mondiale non venne. Da allora ricominciò l'età dell'insicurezza, ma la mobilitazione totale fu un falso allarme.

E adesso cosa resta di quell'11 settembre, che bilancio ci lasciò a ripensarlo dopo dieci anni? Per cominciare non fu uno scontro di civiltà, la civiltà islamica d'oriente contro la civiltà cristiana d'occidente. E non lo fu dall'inizio. Se i fanatici dell'Islam avessero voluto dichiarare guerra alla civiltà cristiana avrebbero colpito la Basilica di San Pietro o - per prendere due piccioni con una fava - la cattedrale di New York, non un santuario della finanza e della tecnica, un simbolo della potenza americana e occidentale, le Due Torri. I fanatici volevano colpire la supremazia occidentale, il materialismo d'Occidente, l'irreligione e la superbia occidentali, non la fede e la civiltà cristiana.

Poi sarebbe facile e anche veritiero evocare quell'evento come l'aggressione dei fanatici ad una civiltà liberale fondata sui diritti dell'uomo, sul rispetto della vita e della libertà e sul ripudio della violenza e della guerra. Ma è una mezza verità. L'altra metà fu che l'Occidente si era imbarcato in una sciagurata guerra nel Golfo, con propaggini afghane e mediorientali, che fu giustificata da nobili principi, mossa da interessi geo-economici e commerciali e condotta con brutali violazioni e palesi cecità: bombe sui civili e su luoghi antichi e sacri di civiltà, stragi, errori strategici e militari a ripetizione, violazione di tradizioni e usi altrui, sanzioni ed embargo su medicinali e cibi a popolazioni inermi. La guerra a Saddam resta a mio parere, e so di non esprimere la linea del Giornale di allora e di adesso, una guerra sbagliata, atrocemente sbagliata. Mi riconobbi allora e mi riconosco ancora adesso nelle parole del Papa e non mi accodai allora e né mi accodo adesso alle utopie autolesioniste del pacifismo.
Va poi detto che la guerra tra Islam e Occidente, non solo non coinvolse né tutto l'Islam né tutto l'Occidente, ma giovò alla fine solo ai Terzi: da quella guerra semifredda con l'Islam non uscì infatti rafforzata né la supremazia americana e occidentale e nemmeno dall'altra parte la forza dell'Islam; ma crebbe il ruolo di Soggetti Terzi, come la Cina o l'India. Tra i due litiganti, i terzi godettero e godono ancora. La tensione mondiale, la ridefinizione dei ruoli, non favorì nemmeno lo sviluppo di una Forza Europea. Crebbe il Mercato Europeo, con la sua Moneta, non la sua forza politica, strategica e militare. Il suo ruolo restò secondario e privo di unità.

Anche dopo l'11 settembre i pericoli maggiori che corre l'Occidente non provengono da nemici esterni ma dalla stanchezza dell'Occidente stesso, il consumismo esasperato, le speculazioni in borsa, l'economia irreale, i suoi squilibri sociali, la perdita di riferimenti superiori e di legami sociali, la corruzione interna e il nichilismo. L'occidente continua a farsi del male da solo, e continua ad essere il Nemico principale di se stesso.

Ripensando a quell'11 settembre vorrei dire infine un paio di cose. I cosiddetti kamikaze non avevano nulla a che fare con gli eroi giapponesi, colpivano in modo feroce obbiettivi civili, seminavano e ancora seminano terrore tra la gente inerme e innocente. Emerse tuttavia la vulnerabilità della Tecnica e del Guscio occidentale: isolati fanatici con minime armi possono infliggere catastrofi a superpotenze mondiali, mandare in cortocircuito interi sistemi difensivi. Un uomo disposto a morire è più forte di un Apparato così potente e sofisticato. Tragica e beffarda rivincita dell'Umano contro la Tecnica proprio sul terreno del Disumano.
Invece i pompieri di New York scrissero una pagina mirabile di coraggio, amor patrio, dedizione e solidarietà. Invidiai l'orgoglio americano, mi sentì anch'io, nel dolore e nell'orrore, americano, nonostante tutte le mie riserve storiche, geopolitiche e culturali sull'americanizzazione del mondo.

Ma restano ancora ombre misteriose su quell'11 settembre. Diffido dei complottismi fantasiosi e ancor più dei negazionismi dissennati, ma resta oscuro l'attentato al Pentagono, l'abbattimento di aerei civili, insieme ad altre cose. Possiamo però dire che quell'allerta è oggi in larga parte rientrato. Se neanche l'uccisione di bin Laden ha prodotto reazioni e ritorsioni vuol dire che quel pericolo forse è passato o rientra tra altri, possibili motivi di insicurezza.
Uso il forse perché gli anniversari hanno sempre qualcosa di inquietante e qualcuno starà pensando di accendere o spegnere pericolose candeline.

(tratto dal Giornale)

martedì 6 settembre 2011

Musica fino alle 4. Varese finalmente torna a misura di giovane!

In discoteca fino alle 4 del mattino. Adesso si può fare purché si rispettino alcune regole. Ovvero dalle 3 si smetta di bere e il volume della musica, dalle 3.30 in poi, vada progressivamente diminuendo. Inoltre, i gestori dei locali dovranno garantire pulizia e decoro delle strade adiacenti e vigilare che gli avventori non sostino schiamazzando. Lo ha comunicato, con un'ordinanza il Comune di Varese. Si tratta di una sperimentazione, precisa l'amministrazione comunale, che è partita il primo settembre di quest'anno e che si concluderà il 31 maggio 2012. .
Insomma, il concetto è: se tutto fila liscio e i ragazzi sapranno usare bene l'opportunità che viene loro data, questa sarà la nuova regola, altrimenti si torna al vecchio. Il provvedimento nasce da una reale esigenza: soddisfare la voglia di divertimento dei giovani che altrimenti sono costretti a spostarsi, soprattutto nel fine settimana, con conseguente incremento del traffico stradale e del rischio di incidenti. Ed ecco, in sintesi, il contenuto del provvedimento: L’orario di chiusura viene posticipato alle 4 del mattino per gli esercizi pubblici che svolgono in modo prevalente l’attività di pubblico spettacolo e intrattenimento, congiuntamente alla attività di somministrazione di alimenti e bevande, discoteche, sale da ballo, sale d’ascolto, locali notturni, locali multiuso, auditorium e impiantisportivi; il volume della musica dovrà essere progressivamente diminuito dalle ore 3.30 fino al completo spegnimento degli impianti di emissione sonora alle ore 3.45; i gestori dei locali dovranno adottare ogni utile accorgimento atto ad evitare la propagazione di rumori fastidiosi al di fuori dei locali e fare impiego di personale idoneo al fine di evitare assembramenti e/o stazionamento di persone all’esterno dei locali gestiti, in special modo all’orario di chiusura sensibilizzando gli avventori a non causare rumori e disturbi di ogni genere alla quiete pubblica; i gestori dei locali dovranno mantenere le aree esterne immediatamente adiacenti ai locali, private e pubbliche, in condizioni di assoluto decoro e pulizia sensibilizzando, a tal fine, la propria clientela; i gestori non dovranno consentire l’ingresso nei propri locali dopo le ore 3 del mattino; è vietato ai gestori dei locali di vendere e somministrare bevande alcoliche e superalcoliche agli avventori a far tempo dalle ore 3 e fino all’orario di chiusura dell’esercizio e devono assicurarsi che all’uscita del locale sia possibile effettuare in maniera volontaria da parte dei clienti una rilevazione del tasso alcolemico ed esporre, infine, all’entrata e all’interno dei locali apposite tabelle. Sebbene le regole da osservare possano sembrare tante e dettagliate, ragionandoci sopra, si può notare che sono semplicemente regole di buon senso. Chiunque sia stato a ballare in Svizzera, Germania, Olanda ecc, avrà notato come fuori dai locali non si vedano cocci di vetro, non si vedano ragazzi o ragazze che barcollano ubriachi, come i buttafuori alla minima trasgressione non si facciano problemi a "accompagnare alla porta" il trasgressore. "Questo regolamento va nella giusta direzione per disciplinare i ragazzi varesini, nonchè per tutelare tutti coloro che vogliono veramente divertirsi, (che sono la maggioranza), e che troppo spesso sono penalizzati dalla mancanza di rispetto di chi infrange le regole - dichiara Leslie Mulas, presidente della Giovane Italia di Varese - Varese da adesso, potrà tornare ad essere una città un po' più movimentata e questo regolamento stimolerà l'organizzazione di nuovi eventi a Varese" "Sono entrato in comune anche grazie a tanti miei coetanei che mi hanno votato in massa, chiedendomi di fare qualcosa per smuovere le acque per quanto riguardava la vita notturna a Varese - dice Giacomo Cosentino, dirigente della Giovane Italia eletto in consiglio comunale - e, come promesso, il Comune ha deciso di eliminare il precedente regolamento che strozzava la movida varesina. Noi la nostra parte l'abbiamo fatta, adesso confidiamo nella responsabilità dei ragazzi di Varese"

giovedì 1 settembre 2011

"DIRITTO AL FUTURO", Il Governo sostiene i giovani per lavoro, studio e famiglia!

Giovani. Meloni lancia "Diritto al Futuro" per giovani e precari.
Il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, il presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, e il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua hanno presentato in conferenza stampa le iniziative sui fondi di garanzia per l'accesso al credito per gli studenti universitari, per l'accesso al mutuo per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie di precari e per il bonus dedicato a stabilizzare i giovani genitori precari. I fondi sono stati promossi e finanziati dal Ministero della Gioventù nell'ambito del pacchetto di iniziative denominato "Diritto al Futuro".

FONDO PER LO STUDIO - Il ministero ha reso disponibili 19milioni di euro per garantire prestiti agli studenti meritevoli che abbiano bisogno di finanziamenti per proseguire gli studi universitari o per imparare una lingua straniera. I prestiti saranno di un massimo di 5mila euro l'anno cumulabili tra loro fino a un ammontare di 25mila euro e potranno fruirne individui fino a 40 anni.

FONDO PER LA CASA - Saranno 50 i milioni che costituiranno il fondo per le famiglie di giovani lavoratori precari, i quali potranno ottenere un mutuo anche senza le garanzie solitamente richieste dalle banche. Lo stato si fara' garante del 50% della quota capitale su somme non superiori a 200mila euro.
L'intervento e' valido per l'acquisto della prima casa che non dovra' superare i 90 metri quadri.

FONDO GENITORI PRECARI - Per i giovani genitori disoccupati o precari sono stati stanziati 51 milioni di euro per doti di 5mila euro ognuna trasferibili ai datori di lavoro per assunzioni a tempo indeterminato. La gestione delle doti sara' affidata all'Inps, che ha creato a tal proposito una banca dati dove chi ha i requisiti necessari potra' iscriversi con un autocertificazione su inps.it o gioventu'.gov.it.

"Con questo pacchetto di iniziative volevamo fare due cose- ha detto il ministro Meloni- dire ai giovani italiani che le istituzioni non li dimenticano, che la societa' non li dimentica e che, se gettano il cuore oltre l'ostacolo, ci sono strumenti che permettono loro di avere un ritorno sui sacrifici che fanno.
E dall'altra per dire alla societa' che vale la pena investire su questa generazione. Sono ragazzi che affrontano una situazione piu' difficile rispetto a quella che trovarono i loro padri e comunque ricavano uno spazio dignitoso in questa societa'".

Per saperne di più sulle iniziative e conoscere nel dettaglio le modalità di accesso ai fondi:

Accesso al mutuo per l'acquisto della prima casa:
http://www.gioventu.gov.it/diritto-al-futuro/diritto-al-futuro-accesso-al-mutuo-per-le-giovani-coppie-con-contratti-atipici.aspx

Bonus dedicato a stabilizzare i giovani genitori precari:
http://www.gioventu.gov.it/diritto-al-futuro/diritto-al-futuro-un-lavoro-stabile-per-i-giovani-genitori-precari.aspx

Accesso al credito per gli studenti universitari:
http://www.gioventu.gov.it/diritto-al-futuro/diritto-al-futuro-un-prestito-garantito-per-gli-studenti-meritevoli.aspx

venerdì 5 agosto 2011

ATTACCO FINANZIARIO ALL'ITALIA. Come intrerpretarlo

Pubblichiamo questo interessante articolo tratto dalla rivista Eurasia. A parte le opinioni personali dell'autore dell'articolo contro "Berlusconi che governa solo per i suoi interessi", che noi non condividiamo assolutamente, l'analisi dello scenario internazionale e dell'attacco speculativo all'Italia è correttissima. Buona Lettura!



Cosa si nasconde dietro gli attacchi all’italia? L’italia è un paese in crisi economica con un debito pubblico che rappresenta praticamente il 120% del PIL, ma ha ancora enormi ricchezze e tante imprese pubbliche che fanno grossi guadagni e quindi molto appetibili. Ma c’è una ricchezza di cui nessuno parla: l’Italia ha la quarta riserva di oro al mondo. L’attacco all’Italia è finalizzato a “derubarla” delle sue imprese pubbliche e delle sue immense riserve auree. L’oro è un prodotto strategico e lo sarà sempre di più nel futuro immediato, per cui fa gola.


Attacco all’oro dell’Italia
Lo scorso mese di maggio l’agenzia di rating, Standard & Poor’s, aveva tagliato la prospettiva italiana da stabile a negativa, con la motivazione che il potenziale ingorgo politico poteva contribuire ad un rilassamento nella gestione del debito pubblico, da cui derivava un impegno incerto nelle riforme a sostegno della produttività. Quindi per S&P’s diminuiscono le prospettive dell’Italia per ridurre il debito pubblico.


Dpo Standard & Poor’s anche Moody’s inizia il pressing contro l’Italia, annunciando che il rating italiano ”Aa2” è sotto osservazione e potrebbe essre ridotto. Le motivazioni, ovviamente sono le solite: le debolezze strutturali dell’Italia, la probabile crescita degli interessi, l’incapacità di tenere sotto controllo i conti pubblici e quindi il debito pubblico.
Dalla settimana scorsa, l’attacco all’Italia si concretizza: inizia il crollo della borsa, aumentano gli interessi sul debito pubblico Italiano e la manovra presentata dal Governo con l’inasprimento di bolli e balzelli sui titoli di stato potrebbe far allontanare gli investitori da questi titoli, con la conseguenza di far aumentare ulteriormente gli interessi. Successivamente tale manovra è stata ritirata.
Nella sola giornata del’11 luglio i buoni italiani a due anni sono crollati del 19,88%, pssando da 3,53 a 4,203; negli ultimi giorni hanno un po recuperato, ma siamo sempre a livelli che triplicano i tassi dell’aprile del 2010, poco più di un anno fa; infatti il 16 aprile i bond a 2 anni erano a 1,27.
Anche la borsa italiana è scesa fino a 18.295,19 l’11 luglio, per poi risalire leggermente nei giorni successivi e chiudere la settimana del 15 luglio a 18.450,45; se consideriamo che lo scorso 18 febbraio aveva raggiunto il massimo per l’anno in corso a 23.273,80, significa che da allora, in questi ultimi cinque mesi ha perso il 20% circa.
Inoltre, se consideriamo che l’indice della borsa italiana era a 41.074,00 il 9 di ottobre del 2007, giorno in cui il Dow Jones fece registrare il suo massimo storico, significa che da allora sta perdendo circa il 55% e se, infine, consideriamo che approssimativamente 4 anni fa, il 18 maggio del 2007 l’indice della borsa italiana era a 44.364,00 significa che da allora sta perdendo il 60% circa. Ricordiamo anche, che il 9 marzo del 2009 l’indice FTSE MIB era sceso a 12.332,00; quindi al momento è ancora ben sopra quella quota e dunque se dovesse continuare a scendere non sarebbe una novità. Due anni fa, insomma la borsa era in una situazione peggiore.
Come mai l’attacco all’italia?
Il Financial Times in un articolo dello scorso 10 luglio titolava: “Gli hedge fund Usa scommettono contro i bond italiani”. In realtà, da anni i giornali anglo-americani ed in particolare gli organi ufficiali del capitalismo, come il “The Economist” o il “Financial Times” sono all’attacco dell’Italia. Si sono scagliati anche contro Silvio Berlusconi, massimo rappresentante del capitalismo italiano, praticamente da 17 anni alla guida del paese, alternandosi con i rappresentanti del liberismo del centro-sinistra (Ciampi, Dini, Amato, Prodi).
Come abbiamo già scritto in varie occasioni, il signor Berlusconi, sceso in política per risolvere esclusivamente i suoi problemi, nel pensare troppo agli affari suoi ha finito per frapporsi agli interessi delle grandi multinazionali, della globalizzazione, dei fautori di progetti vuoti come il “Nabucco”.
Il Cavaliere sa bene che le necessità energetiche (primariamente quelle sue e poi, indirettamente quelle degli italiani) non possono essere coperte dai globalisti, dagli anglo-statunitensi e con la sua adesione al progetto di oleodotto South Stream, che si contrappone all’oleodotto “Nabucco”, di interesse anglo-statunitense, necessariamente ha finito per inimicarsi gli USA, che evidentemente hanno deciso di scaricarlo, di liberarsi di lui quanto prima (consiglio sul tema l’articolo: “Gli Stati Uniti, il gasdotto South Strean, Berlusconi e la sinistra”).
Per questa ragione, ultimamente abbiamo assistito a continui viaggi in Usa di politici italiani, alleati (oggi ex) ed avversari di Berlusconi. Negli USA sono stati il suo ex alleato Gianfranco Fini (Vedasi: “E’ Fini la nuova carta degli USA” oppure “Giancarlo Fini interlocutore privilegiato degli USA“) e Massimo D’Alema, rappresentante del partito anglo-statunitense in Italia, di cui la fedeltà al liberismo è ben provata, fin dall’epoca dei bombardamenti della ex Jugoslavia, quando era capo del governo italiano; negli USA è stato perfino Nichi Vendola che ha incontrato il non certo progressista Schwarzenegger (Vedasi: “Vendola incontra Schwarzenegger“).
Sembra veramente strano, ma tutti stanno giocando contro l’Italia ed in particolare contro Berlusconi che alla fine, per certi versi, un po’ facendo marcia indietro, un po’ grazie alle circostanze è risucito, almeno per il momento, a salvare la pelle, ovviamente quella politica, ossia la sua carica di capo del governo. In ogni caso il suo destino è segnato; non andrà avanti per troppo tempo.
E gli italiani, in particolare il proletariato italiano, andrà di male in peggio! I neo moralisti e puritani nostrani che stanno attaccando Berlusconi per via degli scandali sessuali e che presto si sostituiranno al governo di Silvio Berlusconi, sono i rappresentanti di Goldman Sachs, della BCE, del FMI, del partito dei globalisti e degli anglo-statunitensi, che continuamente attaccano l’Italia.
Dunque, perchè i continui attacchi anglosassoni al Cavaliere ed all’Italia? Berlusconi certamente non è attaccato per i suoi scandali sessuali! E’ da ingenui credere una cosa del genere.
L’Italia è un paese in crisi, in profonda crisi economica, con un debito pubblico praticamente impagabile, attorno al 120% del PIL e con le principali imprese del paese che a causa della caduta dei tassi di guadagno si stanno riubicando altrove, in zone che permettono guadagni superiori a quelli dell’Italia. Ma l’italia, pur in profonda crisi ha ancora tanti gioielli, molto appetibili e che le multinazionali anglo-americane sperano di “comprare” a prezzi stracciati.
Gli interessi dei globaloisti e degli anglosassoni puntano a privatizzare quanto c’è rimasto da privatizzare in Italia: dall’ENI, di cui una parte è ancora in mano allo stato, così come pure l’Enel, oltre a Finmeccanica, Fincantieri, Trenitalia, Poste, Televisione pubblica, Ospedali e centri sanitari all’avanguardia nella ricerca, Università, Scuole e imprese municipalizzate, come quelle dell’acqua e della raccolta dei rifuti. A tutto ciò va aggiunto che l’Italia possiede un ricco patrimonio paesaggistico e ambientale, decisamente invidiabile e un ricchissimo patrimonio artístico; in Italia è concentrato il 60/65% di tutti i beni artistici e archeologici dell’umanità.
A tutto questo va aggiunta una ulteriore ricchezza posseduta dall’Italia, di cui nessuno parla: il suo oro!
Nessuno ne parla, ma l’Italia ha la quarta riserva di oro del mondo, che allo scorso giugno ammontava a ben 2.451,80 tonnellate, che al prezzo odierno dell’oro equivale a circa 100 miliardi di euro. Solo FMI e due stati, USA e Germania, hanno riserve auree superiori alla riserva italiana. L’oro è un prodotto altamente strategico destinato a rivalutarsi fortemente nel futuro inmediato, per cui questa ricchezza è molto appetibile.
In questo momento, l’oro italiano è il principale obiettivo su cui hanno messo gli occhi i globalizzatori.
Quindi, l’Italia pur essendo un paese in forte crisi, possiede ingenti ricchezze. Come impossessarsi o meglio derubare queste ricchezze all’Italia ed al popolo italiano? Approfittando dell’enorme debito pubblico, i grandi predatori con l’aiuto dei propri rappresentanti all’interno del paese, ovvero i liberisti nostrani, gli stipendiati di Goldman Sachs, FMI, BCE, Federal Reserve, World Bank, WTO ed affini faranno pressione per ridurre il debito pubblico attraverso la privatizzazione, la vendita, ovviamente a prezzi fortemente scontati, dei beni sopra citati. Come già successo con la privatizzazione delle grandi banche statali, ad esempio, negli anni novanta, lo stato incasserà delle somme che andranno ad incidere in minima parte sulla riduzione del debito, ma allo stesso tempo l’Italia perderà definitivamente i grandi guadagni che queste imprese producono.
La privatizzazione, come insegna la storia, non è mai servita a risolvere i problema di un paese, anzi li ha ingigantiti. Pertanto, nei prossimi anni l’Italia andrà incontro a problemi economici moltio più gravi. Il mancato introito dei guadagni derivanti dalle imprese pubbliche privatizzate, la riduzione della spesa pubblica e lo smantellamento del welfare state, dello stato assistenziale, ma anche l’incremento della disoccupazione e la riduzione dei consumi accentuerà la crisi, che porterà alla chiusura di ulteriori imprese; tutto ciò si ripercuote ovviamente anche sugli introiti dello stato, dato che si determina una riduzione del gettito fiscale, una riduzione delle imposte dirette ed indirette e per conseguenza lo stato avrà sempre meno soldi da distribuire. Come insegna la storia recente, per esempio dell’Argentina o dell’Ecuador, per restare all’America Latina, la conseguenza diretta sarà una inevitabile esplosione sociale, placabile solo con la repressione, con la forza ovvero con una dittatura.
Il futuro dell’Italia appare sempre più nero ed inveitabilmente il popolo italiano sarà costretto a riprendere la via dell’emigrazione.
Come mai gli attacchi a Berlusconi, uno dei massimi rappresentati del capitalismo italiano? Berlusconi, da quando è al governo, fra una orgia e l’altra non ha avuto il tempo di continuare con la svendita del patrimonio italiano, occupandosi esclusivamente degli affari suoi, ovvero di come risolvere i propri problema giudiziari. Ai globalizzatori ha concesso poco, certamente molto meno di chi lo ha preceduto e quindi è normale che sia attaccato. Berlusconi, però dovrebbe comuqnue essere ringraziato dai globalizzatori anglo-aemricani, perchè con la sua política ha contribuito non poco ad incrementare il debito pubblico italiano, dando quindi una grossa mano ai globalizzatori che sulla base del forte debito pubblico, lasciato in eredità anche da Berlusconi, potranno chiedere a gran voce che si proceda con la massima urgenza alla privatizzazione di tutto quanto è possibile svendere.
Ricordiamo che Berlusconi, la prima volta che arriva al Governo era stato preceduto da Carlo Azeglio Ciampi, e questi poco dopo essere diventato capo del governo, il 30 giugno del 1993 nomina un Comitato di consulenza per le privatizzazioni, presieduto da Mario Draghi, uomo Goldman Sachs, non a caso, oggi, arrivato alla presidenza della BCE.
Ciampi aveva proseguito la svendita del patrimonio italiano iniziata dal socialista Giuliano Amato, braccio destro di Craxi (inspiegabile miracolato dai giudici che provvidero a far piazza pulita della classe politrica italiana di allora) e dal “lottizzatore” democristiano Romano Prodi; Romani Prodi venne così definito, per il suo comportamento quando era presidente dell’IRI, da Franco Bechis in un articolo pubblicato su Milano Finanza: “Prodi, all’Iri, lottizzò come un democristiano“.
Sul tema delle privatizzazioni in Italia, invitiamo ancora una volta a leggere l’articolo di Eugenio Caruso su Impresa oggi: “Iri tra conservazione e privatizzazioni“
Insomma l’attacco al Cavaliere si spiega perchè non è considerato all’altezza dei suoi predecessori privatizzatori e quindi si preme per un immediato ritorno di questi.
L’attacco all’italia è finalizzato al furto del suo oro, del suo enorme patrimonio ambientale, artístico e archeologico e delle imprese pubbliche dai grandi guadagni.