Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

martedì 27 agosto 2013

ARMI CHIMICHE IN SIRIA: LE BUGIE DELL'OCCIDENTE.

Secondo la Casa Bianca, il 21 agosto, l’esercito siriano avrebbe lanciato razzi contenti gas nervino sui ribelli asserragliati nella periferia di Damasco. Ciò offre i presupposti per un attacco militare da parte di una coalizione di potenze occidentali. Stati Uniti, Francia e Regno Unito potrebbero agire anche senza mandato Onu e contro il parere di Russia e Cina. Le prove dell’uso di gas nervino da parte di Assad si fondano, fino ad ora, sulle immagini di alcuni filmati pubblicati dai ribelli. Alcuni esperti di armi chimiche, ascoltati all’indomani dei presunti attacchi, dall’agenzia francese Afp, non sembrano affatto convinti dal materiale.

MANCANO I SINTOMI. Interrogata dall’Afp, Paula Vanninen, direttrice di Verifin, istituto Finlandese per la Verifica della Convenzione sulle Armi Chimiche, sottolinea come «le persone» che aiutano i colpiti dal gas nervino, nei video che circolano in rete, «non indossano né abiti protettivi, né respiratori». «In un caso reale sarebbero stati contaminati anche loro e mostrerebbero sintomi», come invece non accade nei filmati. John Hart, capo del Progetto Sicurezza Chimica e Biologica dell’International Peace Research Insitute di Stoccolma, spiega che nei video «non c’è traccia della “prova rivelatrice”» di una contaminazione di armi chimiche. «Nessuna delle vittime mostra pinpoint pupils», un restringimento del diametro della pupilla, «che indicherebbe un esposizione agli agenti nervini organofosforici».

NON C’È CONTAMINAZIONE. Dan Kaszeta, ex ufficiale dei Chemical Corps dell’esercito americano e consulente privato, anche lui interrogato da Afp, ribadisce come «nessuna delle persone che ha a che fare con le vittime o le fotografa indossa una qualche protezione ad hoc» e «a dispetto di ciò, nessuno di loro sembra aver subito danni». Ciò escluderebbe si tratti davvero di contaminazione da armi chimiche a uso militare, compresi i gas nervini, dal momento che queste sostanze lasciano per un po’ di ore un certo livello di contaminazione e danneggiano chiunque senza adeguate protezioni venga a contatto con le persone colpite. Kaszeta aggiunge che «non c’è nessuno degli altri segni che ci si aspetterebbe di vedere dopo un attacco chimico, come livelli intermedi di vittime, problemi gravi alla vista, vomito, perdita di controllo dell’intestino».

NON È SARIN. Stephen Johnson, ex consulente del ministro della Difesa britannico per la guerra chimica e ricercatore sugli effetti del contagio di materiale pericoloso all’università di Cranfield, ritiene che «con un tale livello di agente chimico ci si aspetterebbe di vedere un mucchio di contaminazione sulle vittime, e questo colpirebbe coloro che li trattano e non sono protetti come dovrebbero. Tutto questo non lo vediamo».
Su Euronews, Johnson ha poi ribadito come il materiale girato sembra non essere coerente con l’uso di agenti nervini o Sarin: «Alcune persone hanno la schiuma, ma la schiuma sembra troppo bianca, troppo pura, e non torna con i danni interni che ci si potrebbe aspettare, te l’aspetteresti giallognola o con tracce di sangue». Per finire, argomenta sospettoso, «ci sono, in alcuni dei video, esempi che sembrano iper-reali, quasi come se fossero stati messi in scena».

GLI ALTRI PROBLEMI. «Le immagini di Ghouta, la località dove il governo avrebbe usato i gas sono devastanti dal punto di vista emozionale, ma assai ambigue dal punto di vista documentale», scrive oggi sul Giornale, il reporter di guerra Gian Micalessin. «Ad Halabja nel marzo 1988 i gas di Saddam non fecero distinzione tra vittime e soccorritori e sterminarono chiunque non si fosse allontanato». Ciò non accade a Ghouta, ricorda Micalessin: «Nessuno fugge, non c’è un clima di panico e gli ospedali continuano a funzionare».
«Questo fa sorgere due grossi interrogativi», conclude il giornalista: «Perché Assad avrebbe atteso due anni e mezzo prima di usare i gas salvo poi impiegarli sotto gli occhi degli osservatori dell’Onu? E soprattutto perché incominciare da una zona dove il regime non è militarmente in difficoltà e dove non viene sfruttato il vantaggio tattico offerto dall’arma chimica per riconquistare il territorio e nascondere le prove?»



estratto da "Tempi.it" del 27/08/2013

mercoledì 22 maggio 2013

DOMINIQUE VENNER: IL SACRIFICO NEL NOME DELLA CIVILTA'

A 78 anni ci si può togliere la vita per un'Idea? Spesso negli ambienti di destra si dice e si ripete che i giovani sono coloro che veramente possono attuare i cambiamenti, le iniziative militanti, financo le rivoluzioni, e la frase di Berto Ricci che campeggia nel nostro blog (nei momenti felici di una nazione la gioventù prende esempio ,nei momenti difficili lo da)ne è un esempio. Lungi da noi dal pensare il contrario, un signore francese di 78 anni ci ha dimostrato però che anche chi non è più giovane anagraficamente può essere di esempio nei momenti difficili della propria Nazione. Il gesto estremo compiuto da Dominique Venner vuole scuotere sopratutto i giovani dal torpore in cui dormono sonni sereni, spesso a causa di una società che di certo non contribuisce molto a svegliarti e anzi, fa di tutto per anestetizzarti: nasci, consuma, divertiti, muori.

Grande storico francese con centinaia di pubblicazioni all'attivo e grandi approfondimenti sulla storia francese e sul marxismo, è stato un intellettuale molto attivo politicamente durante la sua vita: volontario durante la guerra franco-algerina, militante politico di movimenti nazionalisti tra i quali recentemente il Front National e ultimamente molto vicino ai comitati francesi in difesa della famiglia naturale, Venner ha deciso ieri di farsi da parte nella lotta ideale per il rispetto della Tradizione europea, della Vita e contro il relativismo culturale del quale l'Unione Europea è la massima esponente. Non si è messo in pantofole in salotto ad aspettare che i giovani raccogliessero il suo testimone, ma ha deciso di farsi da parte da protagonista, e con un gesto ecclatante, sparandosi in bocca all'interno della cattedrale di Notre Dame, simbolo del suo paese, la Francia, dove la questione identitaria è molto sentita dalla popolazione. Un intellettuale atipico diremmo, abituati come siamo in Italia ai nostri cervelloni che lanciano moniti sulle pagine di Repubblica e Corriere contro omofobia, razzismo, berlusconiscmo, fascismo, e difendono i cari ragazzi dei centri sociali, difendono le Femen, difendono i no tav e l'Unione Europea, in un crescendo di relativismo culturale che vorrebbe eliminare qualsiasi nostro punto fermo e ogni traccia della tradizione e della identità del popolo italiano ed europeo.

Un tempo Yukio Mishima, in Giappone, si dava la morte con l'antico rito del Seppuku, squarciandosi la pancia con una lama da samurai esattamente come voleva la sua tradizione nazionale e spirituale giapponese, insidiata dal consumismo occidentale, per denunciare proprio l'uccisione del tessuto tradizionale del sol levante nel nome della modernità senza valori. Jan Palach ed Alain Escoffier si diedero fuoco in Cecoslovacchia e in Francia per protestare contro il comunismo che soffocava le libertà dei popoli distruggendo le loro tradizioni e le loro istituzioni nel nome del supremo potere rosso. Oggi, nel 2013, dove le nazioni europee (e in Francia questa situazione è ancora più evidente) e il pensiero culturale europeo sono minacciati dal relativismo impostoci dall'Unione Europea e da altri organismi sovranazionali (Onu, BCE ecc), Venner si suicida per far riflettere noi giovani, per farci aprire gli occhi dinanzi ad una società che ci vuole tutti uguali, che vuole che i popoli perdano le loro peculiarità mescolandosi senza criterio, che vuole annientare la comunità locale e nazionale per sostituirle con organizzazioni sovranazionali comandate da persone non elette (come è l'UE), che vuole che il nucleo fondamentale della nostra civiltà, la famiglia, sia sconvolta dal fondamento che la vuole costituita da un uomo e una donna che diano la vita ai loro figli, nel nome dell'uguaglianza tra orientamenti sessuali.

Qui pubblichiamo la traduzione della lettera che Dominique Venner ha lasciato prima di uccidersi.

Le ragioni di una morte volontaria

Io sono sano di corpo e di spirito e ricolmo d’amore per mia moglie e i miei figli. Amo la vita e non mi aspetto nulla dall’al di là, se non la perpetuazione della mia razza e del mio spirito. Tuttavia, giunto al crepuscolo della mia esistenza, posto di fronte agli immensi rischi che sta correndo la mia patria francese ed europea, io mi sento in dovere di agire, fintanto che ne ho ancora la forza.

Ritengo necessario sacrificarmi al fine di interrompere il letargo che ci opprime e offro ciò che resta della mia vita per un atto che intende esprimere una volontà di protesta e di fondazione. Ho scelto un luogo altamente simbolico, la cattedrale di Notre-Dame de Paris, che io rispetto ed ammiro: essa fu edificata dal genio dei miei antenati su di un suolo dove un tempo vennero celebrati culti più antichi, che richiamano alle nostre radici primordiali. Oggi che tanti uomini sono divenuti schiavi della loro vita, il mio gesto intende incarnare l’espressione di un’etica della volontà. Io mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite.

Io insorgo contro la fatalità. Io insorgo contro le perversioni dell’anima e i desideri individuali ormai incontrollabili che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari e soprattutto la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà plurimillenaria. E siccome io difendo l’identità di tutti i popoli, insorgo anche contro quegli atteggiamenti criminali che mirano ad estinguere il nostro popolo.

Il pensiero dominante non riesce ad uscire dalle sue ambiguità tossiche: esso appartiene al fondo dell’anima degli europei ed occorre tirarne le conseguenze. Noi siamo privi di una religione identitaria alla quale aggrapparci, ma possediamo, da Omero in poi, una nostra specifica memoria storica, tesoro di tutti quei valori sui quali noi possiamo fondare la nostra rinascita, rompendo con la metafisica dell’illimitato, sorgente nefasta di tutte le derive moderne.

Io domando perdono in anticipo a tutti coloro che soffriranno per la mia morte, e soprattutto a mia moglie, ai miei figli e ai miei nipoti, così come ai miei amici e sodali. Ma, una volta superato lo choc provocato dal dolore, io non ho dubbi che gli uni e gli altri comprenderanno il senso del mio gesto e trascenderanno la loro sofferenza in fierezza. Io voglio sostenere coloro che si sforzano di durare. Essi troveranno nei miei scritti recenti la prefigurazione e la spiegazione del mio gesto.

sabato 23 marzo 2013

L'ULTIMO SUSSULTO DI SOVRANITA' NAZIONALE ITALIANA

Lo ricordo bene quell’11 settembre 1985. Soprattutto in queste ore che mi fanno pensare all’ennesimo 8 settembre dell’Italia senza onore e dignità. Ventotto anni fa c’era Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Un aereo dirottato da un commando palestinese che aveva attaccato l’”Achille Lauro”, atterrò all’eroporto militare di Sigonella, in Sicilia. Gli americani reclamarono la consegna dei palestinesi ai marines. Il presidente del Consiglio si oppose fermamente, facendo venire meno con il suo diniego, la regola imposta dalla fine della guerra dall’Impero americano: l’ossequio al principoio del primato degli interessi statunitensi in Europa. Craxi ebbe il coraggio e la forza di sfidare il potente alleato imponendo il rispetto della sovranità nazionale italiana. Sull’aereo dirottato e sui palestinesi si applicava l’ordinamento italiano, la giurisdizione era incedibile.

Gli americani tentarono la prova di forza. Il premier ordinò all’ammiraglio Martini di assumere il comando delle operazioni militari per far rispettare il nostro diritto. Capita l’antifona, i soldati statunitensi si ritirarono, mentre le autorità italiane arrestavano i quattro dirottatori. Non mi dilungo su tutti i successivi passaggi. Ricordo soltanto che Martini, in accordo con Craxi, comunicò al pilota americano che con il suo aereo ostruiva la pista di Ciampino, dove nel frattempo i ditottatori erano stati trasferiti, che aveva cinque minuti di tempo per togliersi di mezzo, dopodiché avrebbe dato ordine al bulldozer di buttarlo fuori. Ne passano solo tre. L’F-14 a stelle e strisce accese i rumori e si perse nel cielo di Roma.

Sì, fu l’ultimo atto di uno Stato sovrano. Pienamente ed orgogliosamente sovrano. Non possiamo e non dobbiamo rimuoverlo quell’episodio. Dopo poco gli americani cambiarono atteggiamento e riconobbero, senza peraltro mai ammetterlo uffcialmente, il buon diritto dell’Italia a far valere le sue prerogative. E adesso? Uno sbadiglio dell’India ci ha esposto alla più barbina delle figure in campo internazionale. I marò tornano, se ne vanno, restano. Si fa la faccia feroce, poi tutto si conclude com’era prevedibile: la riconsegna a coloro che ne reclamano la detenzione. Ma chi ha architettato questo immondo pasticcio politico, diplomatico, civile, giudiziario? In un altro Paese, Monti ed i suoi ministri, “tecnici” per antonomasia, si sarebbero già dimessi. E poi? Mettiamo il caso che ciò accadesse, chi reggerebbe Palazzo Chigi? Ecco il problema. Il vuoto di potere genera mostruosità come quelle che si sono abbattute sui due fucilieri che da “pacchi postali” vanno e vengono dall’India senza nessuna certezza e con tanta paura addosso.

Si dice che le autorità di Delhi abbiano promesso che a Massimiliano Latorre e a Salvatore Girone non si applicherà la pena di morte, contemplata per il reato di cui sono imputati. Ci si deve fidare? E perché? Gli indiani non si pongono il problema. Non se lo pongono neppure le cancellerie occidentali. E perfino l’ineffabile lady Ashton, commissario europeo per la sicurezza e la difesa, sembra non crucciarsi più di tanto. Anzi, per niente. Siamo soli. Italiani “brava gente”, governati da pessimi burocrati. La sovranità è un sogno che non ci possiamo permettere.


(tratto dal "Secolo d'Italia" 22/3/2013 di Gennaro Malgieri

martedì 11 dicembre 2012

Il disastro di Monti e le sue responsabilità sancite a livello internazionale

Poco più di un anno fa il Financial Times, uno dei più importanti quotidiani finanziari del mondo, si abbandonava ad un grido di dolore che era anche un anatema inappellabile, titolando a tutta pagina: “In nome di Dio, Berlusconi vattene”. Lo stesso giornale poco dopo salutò con entusiasmo ed elogi incondizionati l’avvento di Monti, definito pomposamente come “la spalla dell’Europa”.


Hanno avuto ragione: era la spalla sulla quale poi si sarebbe pianto. Il disastro combinato da Monti in poco più di un anno è tale che neanche i più fedeli tra i suoi aficionados sono ormai disposti a prenderne le difese, ma anzi si affrettano a prendere da lui lunghe distanze. All’FT bastarono poche settimane per ricredersi sul conto del premier-professore ritenuto, senza che nessuno sapesse dire perché, un tecnico valido, serio e che “avrebbe rimesso le cose a posto” perché ritenuto “refrattario alle strumentalizzazioni demagogiche e clientelari della politica italiana”. Dopo la sua nomina a premier la stampa internazionale cominciò a guardare alla politica montiana con ingiustificata, ma illimitata fiducia e poca cautela. Scriveva il FT :”Grandi tagli di spesa ed aumento delle tasse sono una cosa. Il vero test sarà però quello della liberalizzazione dell’economia. Qui si confronterà con pratiche restrittive e cartelli in cerca di rendite di posizione. Questa settimana le città italiane sono state paralizzate da tassisti e camionisti. Farmacisti, avvocati, benzinai sono sul piede di guerra, in difesa dei propri privilegi. Non sarà facile”. No, infatti per Monti la cosa più che difficile s’è rivelata impossibile. Già dopo la “unnecessary” riforma delle pensioni, corredata da errori la cui portata non è ancora possibile valutare, ma che col buco degli “esodati” supera la decina di milia rdi, e la scialba, pavida e rinunciataria riforma delle professioni, il quotidiano della City londinese scrisse con sarcasmo : “Se Monti è questo, chiediamo scusa a Berlusconi”.

Il Wall Street Journal, altro giornale che vide di buon occhio la nomina di Monti si spinse più in là, ed in un editoriale dal titolo “Surrender, Italian Style”, cioè “Resa all’Italiana” riferendosi alle concessioni fatte alla Fornero da Monti nella presunta riforma del lavoro, arrivò a chiedere scusa ai propri lettori, affermando che circa le qualità del neo-premier italiano s’erano semplicemente sbagliati, avevano preso un abbaglio. Più tardi il FT tornò a chiosare sul percorso che ci si aspettava che Monti percorresse : “La sfida da fronteggiare, quella cristallizzata dalla crisi congenita dell’euro come moneta unica, mentre i padroni della politica e dell’economia polemizzano sui meriti o i demeriti della svalutazione, o dei giochi d’equilibrio fra rettitudine fiscale e politiche espansive della domanda, è se l’Europa può ancora competere in un mondo nel quale non è più in grado di controllare le oscillazioni dei cambi. In questa funzione Monti può svolgere un ruolo essenziale”. Vero, l’ha fatto, ha svolto un ruolo essenziale, ma a favore della Germania e dei nordeuropei in genere, tradendo il suo Paese. Già a fine anno scorso le prime critiche a Monti del FT che sentenziava : “I piani economici di Monti sono avvolti nella nebbia”. Critiche che sono divenute dei veri atti d’accusa quando s’è dimostrato che Monti aveva solo mirato ad introdurre quel rigore preteso dalla Merkel e dalla Ue, rinunciando a quella azione incisiva per il rilancio dell’economia italiana ed europea auspicata da mezzo mondo, dal Giappone agli Usa, dalla Cina al Regno Unito e che tutti si aspettavano. Ed adesso che Monti ha gettato l’Italia in un baratro, ecco che lui scappa inseguito dalle accuse di quelli che erano i suoi più solerti sostenitori. Caustico il FT qualche giorno fa, che neanche si sofferma più su Monti, ma parla vagamente di “governo italiano, formato da burocrati che pensano solo all’Europa”. Bordate sorprendenti e inaspettate quelle del quotidiano londinese che spiega: “quello italiano è un governo litigioso, con una burocrazia radicata e inestirpabile e un primo ministro focalizzato solo sulla scena internazionale.


I problemi interni dell’Italia sembrano crescere e andare oltre la capacità del suo governo tecnocrate di risolverli, anche in vista dell’aggravarsi della crisi del debito nell’Eurozona”. Guy Dinmore, in un durissimo fondo, cita lo scontro nell’esecutivo tra il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, e i suoi colleghi sulle riforme necessarie per la crescita e lo sviluppo. Quindi il FT attribuisce ad una fonte governativa che vuole restare anonima: “Oggi siamo alla resa dei conti, al tutti contro tutti. C’è motivo di credere che si stia entrando nella fase tre della vita dell’esecutivo, quella delle recriminazioni, dopo un’iniziale luna di miele e il successivo ritorno alla vita vera”. Poi l’affondo finale del quotidiano inglese che è una pietra tombale sul governo di Monti: ”L’Italia è nelle mani di burocrati che stanno combattendo non a favore, ma contro il cambiamento, nonché in quelle di un primo ministro che non si decide a fare i passi decisivi. I mercati – aggiunge Dinmore riferendosi alle riforme promesse, ma tutte mancate, dal taglio delle province alla fiscalità, dalla burocrazia alla giustizia – si renderanno conto a un certo punto che l’Italia non ha fatto molto e che la capacità del governo di spingere importanti, ma impopolari, riforme strutturali in Parlamento, s’è azzerata”. Parole che pesano come piombo e che danno il giusto rilievo ai reali fattori che considerano gli investitori quando si muovono sui mercati.

Ancora più esplicito il dissenso del Corsera, un giornale sinora montiano al di sopra di ogni sospetto, che parla apertamente e duramente di “governo che ha preso la direzione sbagliata”. In un editoriale firmato dalla coppia Alesina-Giavazzi, il quale ultimo ricordiamo era stato sul punto di essere cooptato dal governo Monti, il Corsera sembra bocciare Monti senza alcuna possibilità d’appello “il cui sforzo riformatore è stato un vero fallimento. Molti osservatori (internazionali, ndr) sono rimasti perplessi e si chiedono in che direzione si muoverà il governo Monti. A noi pare che si vada nella direzione sbagliata”. Bene. Ora a noi sembra incredibile che a grandi esperti della finanza dell’economia e della politica ci sia voluto un anno, immani sacrifici da parte della gente, il dissesto totale del Paese, della sua società, della sua economia per rendersi conto di una cosa che noi nel nostro piccolo avevamo denunciato da subito e più volte ribadito.

Era infatti evidente, al di là dell’imbroglio e del ricatto dello spread, che guarda caso nessuno di quelli che adesso accusano Monti tira più in ballo, che il nodo della questione non fosse tanto il disavanzo pubblico, quanto il rilancio e la crescita dell’economia per farvi fronte. I debiti si ripagano creando ricchezza dalla quale trarre le risorse per il welfare, per ridurre l’indebitamento, per sostenere la crescita della società. Monti ha invece seguito un disegno perverso: siccome per molto tempo abbiamo vissuto al di là delle nostre reali possibilità, ed è vero, adesso dobbiamo chiudere i rubinetti e rinunciare a tutto quello che avevamo, dalla sanità all’occupazione, dalla scuola ai trasporti, il che è assolutamente assurdo. Un disegno politicamente folle che privilegia una recessione irreversibile ed irrimediabile, anziché creare quella svolta che era nelle attese di tutti dentro e fuori i confini nazionali. Il vero dramma dell’Italia non è quello di avere un debito di 2mila miliardi, ma che questo debito sia stato fatto per alimentare sprechi, clientele, corruzione, spese ed opere inutili. Se i soldi fossero stati spesi per ammodernare lo stato, migliorare la formazione delle nuove leve, informatizzare il Paese, eliminare la burocrazia, ridurre le tasse e sostenere i consumi, mettere in piedi un sistema giudiziale equo, rapido ed efficiente, per migliorare il sistema pensionistico, e le grandi infrastrutture di base quei 2mila miliardi costituirebbero oggi solo una curiosità contabile. Il dramma è che siamo sommersi di debiti nel momento in cui disponiamo di un sistema produttivo esausto, spesso obsoleto e con una efficienza non all’altezza dei tempi e della competizione globale, per cui non abbiamo più le risorse per dare vita alla crescita ed a tutte le riforme ad essa necessarie. Era in questa direzione che si sarebbe dovuto muovere un governo di competenti tecnici. Ed è qui che Monti ha clamorosamente fallito come adesso pare si siano scatenati tutti a contestargli. A cominciare dal Corsera che sottolinea come “il provvedimento più importante che il governo si appresta a varare riguarda le infrastrutture, ma non è questa la priorità dell’Italia, cui servono infrastrutture di altro tipo: una giustizia veloce, certezza del diritto, regolamenti snelli, un’amministrazione pubblica che faccia il suo dovere e non imponga costi enormi a cittadini e imprese, un’università che produca buon capitale umano e buona ricerca, ed una lotta efficace alla criminalità organizzata”. Infine l’ultima bordata: “Ciò che il governo oggi sta discutendo ci pare, purtroppo, molto più simile alla vecchia politica che alla ventata innovatrice che respirammo (in effetti che speravano di poter respirare, ndr) per qualche settimana lo scorso novembre”. Tornando quindi alla domanda sul dove vada Monti la risposta è semplice: Monti non andrà da nessuna parte, ma piuttosto, con la stessa vigliaccheria con la quale ha finto di governare l’Italia, mentre invece assecondava gli interessi suoi personali e quelli dei nemici del Paese, scapperà. Scapperà dalle voragini create nella finanza per decine di miliardi di euro, nella previdenza con un numero ancora non definibile di “esodati”, scapperà da una cambiale da 45 miliardi scadenza 2013 che lui ha firmato alla Merkel, scapperà dal mare di precari e disoccupati che ha creato, scapperà da sistemi fatiscenti nella scuola e nella sanità che invece di risanare ha affossato con tagli scellerati, scapperà da un sistema produttivo che il mondo ci invidiava, ma che lui ha messo in ginocchio, scapperà da un debito irresponsabilmente dilatato a dismisura, scapperà da riforme che non è stato capace neanche di abbozzare, scapperà dalla depauperazione del patrimonio nazionale con l’attacco ai risparmi ed il deprezzamento immobiliare. Scapperà dalla sua presunzione, dalla sua spocchiosa prosopopea ora che tutti hanno avuto la misura del suo rigorismo bilderberghiano salva-banche. E adesso che se ne va, saremmo tutti disposti a firmare se, chi sarà chiamato a sostituirlo, in un anno facesse crescere la produzione industriale del 12 %, l’occupazione del 40%, il Pil del 3 %, se l’indebitamento fosse ridotto del 6 %, se i precari diminuissero del 25 %, se le tasse diminuissero del 30%. Se tutto questo succedesse staremmo esattamente come stavamo un anno fa, né più, né meno. Per fare questo, occorre che il nuovo governo si impegni a smontare pezzo per pezzo, come sostiene il Financial Times, il puzzle messo insieme dal prof ex bocconiano. E’ questo, più di ogni altro commento, a dare la misura del disastro provocato da Monti.

mercoledì 10 ottobre 2012

Le PUSSY RIOT: la degenerazione di un secolo

“Non si possono minare le fondamenta morali della Russia né si può distruggere il Paese: altrimenti cosa ci resterebbe?” Vladimir Putin sul caso delle Pussy Riot

Lunedì, il giornale francese “Le Monde” dedicava testardamente un ennesimo articolo alle “gesta eroiche” delle Pussy Riot (“Rivolta della Fica”). L’ennesimo articolo insipido in difesa della “preghiera anti Putin” fatta all’interno della cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca; un ennesimo articolo in difesa di quelle tre povere ragazze divorate “dall’orco” Vladimir Putin; un ennesimo articolo in difesa di un certo tipo di “libertà di espressione”.

Fino allo sfinimento, le grandi testate giornalistiche continueranno a criticare una decisione percepita come “assurda” nel mondo occidentale: decisione che, se analizzata un attimo e a sangue freddo, non sembra poi così esagerata. Cerchiamo quindi di capire e di smontare il mito delle “Rivolta della Fica”. La condanna emessa dal tribunale di Mosca è chiara: due anni di carcere e di lavori, con l’accusa di vandalismo fomentato da odio religioso. Di vandalismo ce n’è stato, e di odio religioso pure: l’accusa in sé regge. La condanna poteva arrivare fino a sette anni, e anche se tutte le previsioni davano almeno tre anni di carcere, alla fine le tre ragazze hanno preso solo due anni. L’atto in sé, era scandaloso: una preghiera politica contenente blasfemi (“Putin è la merda del Signore” dixit oppure “Madre di Dio diventa femminista” dixit) cantata in chiesa avrebbe fatto scattare l’arresto in qualsiasi paese del mondo. Su questo non c’è nessun dubbio. L’odio contro la religione è chiarissimo. Non è un caso che un altro gruppo di sedicenti attiviste femministe, FEMEN, che ha come caratteristica principale quella di mostrare il proprio corpo nudo (?!?) durante qualsiasi azione, dopo la condanna delle loro sorelle ha tagliato una croce di legno posta in memoria delle vittime dello stalinismo ="http://www.youtube.com/watch?v=RifhGKaDEt).

L’ipocrisia maggiore consiste a dire che nei nostri paesi, non sarebbe scattata la condanna: prendiamo come esempio gli Stati Uniti (i più critici verso il verdetto sulle Pussy Riot). Pensate veramente che, se un gruppo di ragazzi si fosse addentrato in una chiesa del sud – est americano, anzi meglio ancora in una sinagoga nel centro di Manhattan, requisendo l’altare, gridando come dei forsennati, disturbando i credenti, insultando con l’atto e con le parole personaggi politici (come Obama o Netanyahu), sarebbe ancora in vita per raccontarlo? Non possiamo esserne tanto sicuri. Proprio in quel periodo, girava la notizia di un poveraccio atterrato da tre colpi di pistola a Time Square, sotto gli occhi di tutti, perché aveva rubato una sciocchezza nel supermercato vicino. Idem con il movimento Occupy che ha sofferto calci e botte per essersi appropriato di spazi pubblici “senza permesso”, e che conta alcuni attivisti “comodamente” installati in carceri americane… Come si permettono gli Stati Uniti di criticare le faccende altrui quando la situazione a casa loro non è limpida? Come si permette Hillary Clinton, di criticare il giudizio di un tribunale russo?

Ricordiamoci che lo stesso giorno in cui è comparso il verdetto del tribunale di Mosca, la Gran Bretagna (sotto ordini americani) chiedeva l’arresto coatto di Julian Assange e minacciava democraticamente l’ambasciata dell’Ecuador di una possibile introduzione manu militari per catturare il fondatore di Wikileaks, contravvenendo senza scrupolo alcuno alla regole dell’extraterritorialità delle ambasciate straniere. Eppure, il mondo pensava alle Pussy Riot… quanta ipocrisia. Vi è un altro fatto interessante: le “Rivolta della Fica”, considerate come “artiste sui generis”, di artistico hanno poco o nulla. Nel passato recente, il gruppo organizzò altre azioni trash a dir poco rivoltanti. Il gruppo sedicente anarchico “Voina”, di cui le tre ragazze condannate fanno tutte parte, organizzò orge sessuali in luoghi pubblici famoso il caso del museo delle scienze, e altre azioni deplorevoli (celebre anche il “pollo nella vagina”, http://www.youtube.com/watch?v=vGk5L1bjoTw"). Non è la prima volta che queste ragazze compiono azioni contro Putin, ergo Putin le lasciò andare più volte (anche nel caso dell’orgia pubblica) senza troppi problemi.

Qui è diverso, la libertà di manifestare di alcune sbandate ha calpestato la libertà di culto di altri, e si sa: la libertà degli uni finisce quando la libertà degli altri comincia. Comunque sia, delle pazze scatenate di questo calibro sarebbero isolate nelle nostre società, eppure quando si tratta di attaccare i nemici di sempre (in questo caso la Russia di Putin) che guarda caso hanno ricominciato a giocare un ruolo attivo nello scacchiere internazionale (ad esempio nella partita siriana), delle degenerate diventano il simbolo della libertà del mondo. La verità è di ben’altro tipo: le Pussy Riot sono un semplice strumento per criticare, aggredire, e intimidire la Russia di Putin. Quando, infatti, si cerca più a fondo, si trovano dettagli interessanti che non appaiono sulle grandi testate mainstream. In un’altra apparizione, le “Rivolta della Fica” brandirono una bandiera dell’OTPOR, organizzazione finanziata dalla Freedom House (fondata da James Woolsey, ex – direttore della CIA) e dalla Open Society Institute (fondata da George Soros…). Ed ecco che l’inciucio è svelato: l’OTPOR (che controlla anche il collettivo nudista FEMEN), è una di quelle organizzazioni che hanno partecipato al colpo di stato contro Chavez, alla caduta della Serbia di Milosevic, e a tante altre azioni politiche etero dirette. Insomma, un’organizzazione di regime.

fonte: di Roberto Saverio Caponera http://www.lintellettualedissidente.it/le-pussy-riot-la-degenerazione-di-un-secolo/

martedì 4 settembre 2012

Nozze gay si? Perchè incesto e pedofilia no?

Le coppie omosessuali chiedono con sempre maggiore pressione che lo Stato riconosca le loro relazioni romantiche tra persone adulte e consenzienti. Il matrimonio ovviamente non è un diritto né per gli eterosessuali né per gli omosessuali, tuttavia la richiesta di queste persone è legittima (ognuno può liberamente chiedere che un suo desiderio venga riconosciuto), alcuni governi hanno accettato altri no. Fortunatamente anche l’icona gay del momento, Giuseppe Cruciani, ha riconosciuto durante la puntata del 6/7/12 del suo programma radiofonico che «i Paesi in cui non sono legalizzate le nozze gay sono assolutamente normali».

Se queste sono le richieste da parte del mondo LGBT, sul sito “LifeSiteNews“ si sono domandati se la «mentalità omosessuale deve spingerci ad accettare anche la pedofilia e l’incesto?». Se infatti basta avere una relazione romantica, basata sul consenso reciproco, per essere riconosciuti come coppia da parte dello Stato, con che diritto si dice “si” a due omosessuali e “no” ad un padre e ad un figlio (maggiorenne o minorenne) che intendono veder riconosciuta la loro relazione romantica-sessuale, godendo dei conseguenti privilegi? Riconoscere la relazione omosessuale e non quella tra padre/madre e figlio/figlia non è forse discriminazione?
«L’argomento omosessuale», viene scritto, «si basa sul fatto che due persone che si amano l’un l’altro dovrebbero essere in grado di esprimere il loro amore e la società dovrebbe felicemente riconoscere la loro relazione d’amore. Io chiamo questo “mentalità omosessuale“, diventata una mentalità predominante, che ha dimostrato di non tollerare il dissenso». Il problema, viene spiegato, è che «con questa mentalità si può giustificare praticamente qualsiasi cosa in nome dei sentimenti di amore». Perché la relazione d’amore tra due uomini dovrebbe essere privilegiata rispetto alla relazione d’amore tra un padre e un figlio, maggiorenne e consenziente? Se la contrarietà verso il primo tipo di rapporto è omofobia, la contrarietà verso il secondo quale fobia identifica.

Abbiamo già parlato della questione dell’incesto, ma anche la pederastia rientra in questo argomento. Ovviamente si obietterà che la pederastia è contro il volere del bambino, non c’è consenso. Tuttavia i promotori dell’abbassamento dell’età del consenso per i rapporti tra adulti e minori basano la loro tesi sul fatto che ai bambini dovrebbe essere concesso di liberare la loro sessualità. Attraverso la liberazione sessuale, il bambino fortifica la «genialità spontanea» e si «priva di complessi di colpa» creati brutalmente dalla concezione cristiana e “borghese” della famiglia come scriveva W. Reiche nel celebre “La rivoluzione sessuale”. L’icona gay Mario Mieli affermava in “Elementi di critica omosessuale” (1977) che il bambino «è l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros [...]. Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega».


L’ideologa femminista Shulamith Firestone, nel suo “La dialettica dei sessi” (1970), spiegava che «dobbiamo includere anche l’oppressione dei bambini in ogni programma della rivoluzione femminista… il nostro passo deve essere l’eliminazione della stessa condizione di femminilità ed infanzia», arrivando a far sì che «tutti i rapporti intimi», anche quelli tra genitori e figli, adulti e piccini, includano «anche la fisicità» in senso lato. L’omosessuale Aldo Busi ha affermato: «Può esistere una pedofilia blanda, quella praticata dai bambini sugli adulti. I bambini sono in certi casi corruttori degli adulti. Oggi cercano il capro espiatorio nel cosiddetto pedofilo, come ieri negli zingari, negli omosessuali, negli ebrei, nei palestinesi, nelle donne, ma anche i bambini hanno la loro brava sessualità e che gli adulti non devono più reprimerla». In nome di questa “liberazione sessuale dei bambini”, nel 1977 alcuni paladini laicisti e omosessuali hanno creato un famoso manifesto dove esigevano la depenalizzazione dei rapporti con minori. Firmatari erano: Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Michel Foucault, Jack Lang, Louis Aragon, Roland Barthes ecc. Il filosofo laicista Michel Foucault e l’attivista dei diritti omosessuali Guy Hocquenghem hanno spiegato che gli adulti dovrebbero fare sesso con bambini consenzienti, dove per «bambini consenzienti intendiamo che in ogni caso non c’è stata violenza o manipolazione finalizzata a obbligarli ad avere un rapporto affettivo o erotico».
Insomma, impedire ai bambini “consenzienti” di avere un’espressione sessuale sarebbe un crimine, un’oppressione, tanto che diversi esperti di psicologia stanno oggi tentando di sostenere che la pedofilia è un “orientamento sessuale” paragonabile ad omosessualità o eterosessualità. Sempre più conferenze accademiche mirano ad eliminare lo “stigma” sociale della società rispetto agli uomini più anziani che agiscono sessualmente verso i bambini più piccoli. Essere attratti da minori, dicono, è un orientamento sessuale, una “variante naturale della sessualità umana” (come sostengono alcuni parlamentari in Canada), un’inclinazione come le altre.

Allora detto questo, la domanda è: è sufficiente amare qualcuno ed essere amati per venire riconosciuti dallo Stato? Se si, perché non riconoscere l’incesto, la pedofilia (non è violenza dicono, ma beneficio verso la liberazione sessuale dei bambini) o la poligamia (il cui consenso generale è cresciuto proprio in seguito all’approvazione delle nozze gay, come si sottolinea qui) e invece riconoscere le coppie omosessuali? «La società», si conclude domandando su “LifeSiteNews”, «finora ha condannato all’unanimità le relazioni che coinvolgono uomini adulti che fanno sesso con i bambini, chiamandole “disgustose” e “moralmente ripugnanti”. La società, fino a non poco tempo fa, ha condannato anche le relazioni omosessuali allo stesso modo. Una società che riconosce oggi le relazioni omosessuali, ci spinge ad accettare anche la pedofilia e l’incesto?».
La motivazione per offrire un riconoscimento statale ad una relazione sessuale deve essere differente dunque dal mero sottolineare una relazione romantica tra persone consenzienti. C’è bisogno che tale relazione abbia alcune caratteristiche che la rendono unica e vitale per la società, come solo possono essere le relazioni tra l’uomo e la donna, basate sull’incontro equilibrato e naturale tra gli appartenenti dei due diversi sessi, relazioni originalmente aperte alla vita e adatte alla giusta e bilanciata accoglienza di un nuovo essere umano. da

mercoledì 27 giugno 2012

INTERVISTA A BUTTAFUOCO: "GLI ITALIANI TORNINO AD ESSERE DEI NAVIGATORI PER USCIRE DALLA CRISI"

La ricetta di Buttafuoco per superare la crisi attuale risiede nell'Eurasia. "I commercianti devono recuperare quello spirito imprenditoriale e tornare ad essere un popolo di santi, eroi, ma soprattutto navigatori"
La crisi che stiamo vivendo è soltanto economica o c'è dell'altro?
"Sicuramente in questa crisi c'è un fondamento spirituale, anzi nell'assenza di spiritualità si manifesta questa crisi. Il fatto stesso che abbiamo forgiato generazioni abituate all'idea del posto di lavoro, anzi abituate più allo stipendio che al lavoro avendo noi abbandonato quella che è stata la tradizione dell'umanesimo del lavoro questo ci ha portato a essere soltanto carne da macello a disposizione dei progetti di globalizzazione nella migliore delle ipotesi o, nella peggiore, a essere soltanto un granaio di consenso a disposizione del primo che arrivava nei nostri paraggi e dettava legge".
Rispetto alle crisi passate, sembra esserci un maggiore scoramento, quasi come se la speranza di uscire dal tunnel sia una chimera. E' d'accordo?
"Nel passato c'era un radicamento terraneo, forte che faceva sì che comunque la dimensione fosse quella della profondità, del vivere in profondità, con grande partecipazione perché c'era anche un aspetto corale forte di simbiosi. Adesso siamo solo delle monadi solitarie impazzite, tanto è vero che non abbiamo più davanti a noi una prospettiva. Ti faccio un esempio pratico?"
Prego
"Se tu metti a confronto una fotografia scattata a Scampia, allo Zen di Palermo o al Librino di Catania con una scattata in uno slum di Mombay la differenza è totale. Perché sono tutti e 4 quartieri della cosidetta emarginazione della povertà con la differenza che in quello di Mombay tu vedi brulicare la vita, vedi gente che non sta con le mani in mano, che si muove, che si agita, che fabbrica, che si adopera e che cerca di realizzare qualcosa pur nella povertà dei mezzi. Nelle tre foto scattate nelle nostre tre zone vedrai qualcuno appoggiato al muro, qualcun altro ad attardarsi in un bar, un altro ancora impegnato a cercare un cliente per lo spaccio della droga. Dopodiché il deserto totale".
Lei è anche uno studioso di religioni. C'è qualche colpa da additare al cristianesimo?
"Il cristianesimo ha smarrito totalmente quella che è l'unica vera spinta propulsiva della religioni che per dirla nel linguaggio di Nietsche è la volontà di potenza. Se tu metti a confronto una foto di una chiesa costruita nel 2012 e una moschea vedrai che la moschea è comunque bella, rifulge di potenza mentre la chiesa avrà questo effetto di grande casamento mesto, triste, disegnato secondo le esigenze e le necessità di quegli scatoloni da periferia. Queso perché nella moschea c'è la volontà di potenza, l'adesione a un progetto di bellezza. Nel cristianesimo è venuto meno. Tanto è vero che si è confusa l'identità religiosa con una specia di società di assistenza sociale, diventando solo un accomodante ufficio di ascolto sociale".
Secondo lei, siamo al capolinea o c'è spazio per una rinascita?
"La rinascita, la rigenerazione ci sarà e ha anche un destino ben preciso che è l'Eurasia. La cosa che mi fa ridere in tutto questo parlare di crisi è che noi stiamo a guardare che cosa farà la Germania, la Francia, l'Inghilterra non parliamo poi di cosa può essere la deriva statunitense, ma non ci rendiamo conto invece che vicino a noi c'è una grande potenza regionale come la Turchia che è molto più potente economicamente, commercialmente, culturalmente e anche dal punto di vista della freschezza delle generazioni rispetto a Francia, Inghilterra, Italia".

La rigenerazione risiede nella Turchia, quindi?
"La patria nostra è quella che ha saputo dare un indirizzo alla via della Seta con il percorso verso la Cina, verso le Indie, verso quella grande traiettoria dove c'era quella capacità dell'italiano di ritrovare se stesso viaggiando nel mondo. Non è un incaponirsi da erudito perché non lo sono, ma è una indicazione che devono raccogliere innanzitutto i mercati, i commercianti, quelli che devono recuperare giorno dopo giorno questo spirito imprenditoriale e riuscire a fare quello che nella storia è stato sempre segnato da chi ha saputo essere popolo di santi, eroi, ma soprattutto navigatori".
Che idea si è fatto del fenomeno dei suicidi dal punto di vista sociale e giornalistico?
"Sui suicidi la penso come il Duce. Bisogna applicare la censura, non bisognerebbe parlarne perché c'è sempre quella dimensione di contagio che poi prende l'opinione pubblica. E' pericolosissimo parlare di suicidi, applicare la morbosità come condimento dell'informazione".
Un percorso di letture per uscire dalla crisi? "Una guida del touring club che porti attraverso il percorso della via della Seta. Solo questo, viaggiare, andarsene via".
Da "Il Giornale" 27/6/2012