Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

martedì 27 agosto 2013

ARMI CHIMICHE IN SIRIA: LE BUGIE DELL'OCCIDENTE.

Secondo la Casa Bianca, il 21 agosto, l’esercito siriano avrebbe lanciato razzi contenti gas nervino sui ribelli asserragliati nella periferia di Damasco. Ciò offre i presupposti per un attacco militare da parte di una coalizione di potenze occidentali. Stati Uniti, Francia e Regno Unito potrebbero agire anche senza mandato Onu e contro il parere di Russia e Cina. Le prove dell’uso di gas nervino da parte di Assad si fondano, fino ad ora, sulle immagini di alcuni filmati pubblicati dai ribelli. Alcuni esperti di armi chimiche, ascoltati all’indomani dei presunti attacchi, dall’agenzia francese Afp, non sembrano affatto convinti dal materiale.

MANCANO I SINTOMI. Interrogata dall’Afp, Paula Vanninen, direttrice di Verifin, istituto Finlandese per la Verifica della Convenzione sulle Armi Chimiche, sottolinea come «le persone» che aiutano i colpiti dal gas nervino, nei video che circolano in rete, «non indossano né abiti protettivi, né respiratori». «In un caso reale sarebbero stati contaminati anche loro e mostrerebbero sintomi», come invece non accade nei filmati. John Hart, capo del Progetto Sicurezza Chimica e Biologica dell’International Peace Research Insitute di Stoccolma, spiega che nei video «non c’è traccia della “prova rivelatrice”» di una contaminazione di armi chimiche. «Nessuna delle vittime mostra pinpoint pupils», un restringimento del diametro della pupilla, «che indicherebbe un esposizione agli agenti nervini organofosforici».

NON C’È CONTAMINAZIONE. Dan Kaszeta, ex ufficiale dei Chemical Corps dell’esercito americano e consulente privato, anche lui interrogato da Afp, ribadisce come «nessuna delle persone che ha a che fare con le vittime o le fotografa indossa una qualche protezione ad hoc» e «a dispetto di ciò, nessuno di loro sembra aver subito danni». Ciò escluderebbe si tratti davvero di contaminazione da armi chimiche a uso militare, compresi i gas nervini, dal momento che queste sostanze lasciano per un po’ di ore un certo livello di contaminazione e danneggiano chiunque senza adeguate protezioni venga a contatto con le persone colpite. Kaszeta aggiunge che «non c’è nessuno degli altri segni che ci si aspetterebbe di vedere dopo un attacco chimico, come livelli intermedi di vittime, problemi gravi alla vista, vomito, perdita di controllo dell’intestino».

NON È SARIN. Stephen Johnson, ex consulente del ministro della Difesa britannico per la guerra chimica e ricercatore sugli effetti del contagio di materiale pericoloso all’università di Cranfield, ritiene che «con un tale livello di agente chimico ci si aspetterebbe di vedere un mucchio di contaminazione sulle vittime, e questo colpirebbe coloro che li trattano e non sono protetti come dovrebbero. Tutto questo non lo vediamo».
Su Euronews, Johnson ha poi ribadito come il materiale girato sembra non essere coerente con l’uso di agenti nervini o Sarin: «Alcune persone hanno la schiuma, ma la schiuma sembra troppo bianca, troppo pura, e non torna con i danni interni che ci si potrebbe aspettare, te l’aspetteresti giallognola o con tracce di sangue». Per finire, argomenta sospettoso, «ci sono, in alcuni dei video, esempi che sembrano iper-reali, quasi come se fossero stati messi in scena».

GLI ALTRI PROBLEMI. «Le immagini di Ghouta, la località dove il governo avrebbe usato i gas sono devastanti dal punto di vista emozionale, ma assai ambigue dal punto di vista documentale», scrive oggi sul Giornale, il reporter di guerra Gian Micalessin. «Ad Halabja nel marzo 1988 i gas di Saddam non fecero distinzione tra vittime e soccorritori e sterminarono chiunque non si fosse allontanato». Ciò non accade a Ghouta, ricorda Micalessin: «Nessuno fugge, non c’è un clima di panico e gli ospedali continuano a funzionare».
«Questo fa sorgere due grossi interrogativi», conclude il giornalista: «Perché Assad avrebbe atteso due anni e mezzo prima di usare i gas salvo poi impiegarli sotto gli occhi degli osservatori dell’Onu? E soprattutto perché incominciare da una zona dove il regime non è militarmente in difficoltà e dove non viene sfruttato il vantaggio tattico offerto dall’arma chimica per riconquistare il territorio e nascondere le prove?»



estratto da "Tempi.it" del 27/08/2013

mercoledì 22 maggio 2013

DOMINIQUE VENNER: IL SACRIFICO NEL NOME DELLA CIVILTA'

A 78 anni ci si può togliere la vita per un'Idea? Spesso negli ambienti di destra si dice e si ripete che i giovani sono coloro che veramente possono attuare i cambiamenti, le iniziative militanti, financo le rivoluzioni, e la frase di Berto Ricci che campeggia nel nostro blog (nei momenti felici di una nazione la gioventù prende esempio ,nei momenti difficili lo da)ne è un esempio. Lungi da noi dal pensare il contrario, un signore francese di 78 anni ci ha dimostrato però che anche chi non è più giovane anagraficamente può essere di esempio nei momenti difficili della propria Nazione. Il gesto estremo compiuto da Dominique Venner vuole scuotere sopratutto i giovani dal torpore in cui dormono sonni sereni, spesso a causa di una società che di certo non contribuisce molto a svegliarti e anzi, fa di tutto per anestetizzarti: nasci, consuma, divertiti, muori.

Grande storico francese con centinaia di pubblicazioni all'attivo e grandi approfondimenti sulla storia francese e sul marxismo, è stato un intellettuale molto attivo politicamente durante la sua vita: volontario durante la guerra franco-algerina, militante politico di movimenti nazionalisti tra i quali recentemente il Front National e ultimamente molto vicino ai comitati francesi in difesa della famiglia naturale, Venner ha deciso ieri di farsi da parte nella lotta ideale per il rispetto della Tradizione europea, della Vita e contro il relativismo culturale del quale l'Unione Europea è la massima esponente. Non si è messo in pantofole in salotto ad aspettare che i giovani raccogliessero il suo testimone, ma ha deciso di farsi da parte da protagonista, e con un gesto ecclatante, sparandosi in bocca all'interno della cattedrale di Notre Dame, simbolo del suo paese, la Francia, dove la questione identitaria è molto sentita dalla popolazione. Un intellettuale atipico diremmo, abituati come siamo in Italia ai nostri cervelloni che lanciano moniti sulle pagine di Repubblica e Corriere contro omofobia, razzismo, berlusconiscmo, fascismo, e difendono i cari ragazzi dei centri sociali, difendono le Femen, difendono i no tav e l'Unione Europea, in un crescendo di relativismo culturale che vorrebbe eliminare qualsiasi nostro punto fermo e ogni traccia della tradizione e della identità del popolo italiano ed europeo.

Un tempo Yukio Mishima, in Giappone, si dava la morte con l'antico rito del Seppuku, squarciandosi la pancia con una lama da samurai esattamente come voleva la sua tradizione nazionale e spirituale giapponese, insidiata dal consumismo occidentale, per denunciare proprio l'uccisione del tessuto tradizionale del sol levante nel nome della modernità senza valori. Jan Palach ed Alain Escoffier si diedero fuoco in Cecoslovacchia e in Francia per protestare contro il comunismo che soffocava le libertà dei popoli distruggendo le loro tradizioni e le loro istituzioni nel nome del supremo potere rosso. Oggi, nel 2013, dove le nazioni europee (e in Francia questa situazione è ancora più evidente) e il pensiero culturale europeo sono minacciati dal relativismo impostoci dall'Unione Europea e da altri organismi sovranazionali (Onu, BCE ecc), Venner si suicida per far riflettere noi giovani, per farci aprire gli occhi dinanzi ad una società che ci vuole tutti uguali, che vuole che i popoli perdano le loro peculiarità mescolandosi senza criterio, che vuole annientare la comunità locale e nazionale per sostituirle con organizzazioni sovranazionali comandate da persone non elette (come è l'UE), che vuole che il nucleo fondamentale della nostra civiltà, la famiglia, sia sconvolta dal fondamento che la vuole costituita da un uomo e una donna che diano la vita ai loro figli, nel nome dell'uguaglianza tra orientamenti sessuali.

Qui pubblichiamo la traduzione della lettera che Dominique Venner ha lasciato prima di uccidersi.

Le ragioni di una morte volontaria

Io sono sano di corpo e di spirito e ricolmo d’amore per mia moglie e i miei figli. Amo la vita e non mi aspetto nulla dall’al di là, se non la perpetuazione della mia razza e del mio spirito. Tuttavia, giunto al crepuscolo della mia esistenza, posto di fronte agli immensi rischi che sta correndo la mia patria francese ed europea, io mi sento in dovere di agire, fintanto che ne ho ancora la forza.

Ritengo necessario sacrificarmi al fine di interrompere il letargo che ci opprime e offro ciò che resta della mia vita per un atto che intende esprimere una volontà di protesta e di fondazione. Ho scelto un luogo altamente simbolico, la cattedrale di Notre-Dame de Paris, che io rispetto ed ammiro: essa fu edificata dal genio dei miei antenati su di un suolo dove un tempo vennero celebrati culti più antichi, che richiamano alle nostre radici primordiali. Oggi che tanti uomini sono divenuti schiavi della loro vita, il mio gesto intende incarnare l’espressione di un’etica della volontà. Io mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite.

Io insorgo contro la fatalità. Io insorgo contro le perversioni dell’anima e i desideri individuali ormai incontrollabili che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari e soprattutto la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà plurimillenaria. E siccome io difendo l’identità di tutti i popoli, insorgo anche contro quegli atteggiamenti criminali che mirano ad estinguere il nostro popolo.

Il pensiero dominante non riesce ad uscire dalle sue ambiguità tossiche: esso appartiene al fondo dell’anima degli europei ed occorre tirarne le conseguenze. Noi siamo privi di una religione identitaria alla quale aggrapparci, ma possediamo, da Omero in poi, una nostra specifica memoria storica, tesoro di tutti quei valori sui quali noi possiamo fondare la nostra rinascita, rompendo con la metafisica dell’illimitato, sorgente nefasta di tutte le derive moderne.

Io domando perdono in anticipo a tutti coloro che soffriranno per la mia morte, e soprattutto a mia moglie, ai miei figli e ai miei nipoti, così come ai miei amici e sodali. Ma, una volta superato lo choc provocato dal dolore, io non ho dubbi che gli uni e gli altri comprenderanno il senso del mio gesto e trascenderanno la loro sofferenza in fierezza. Io voglio sostenere coloro che si sforzano di durare. Essi troveranno nei miei scritti recenti la prefigurazione e la spiegazione del mio gesto.

sabato 23 marzo 2013

L'ULTIMO SUSSULTO DI SOVRANITA' NAZIONALE ITALIANA

Lo ricordo bene quell’11 settembre 1985. Soprattutto in queste ore che mi fanno pensare all’ennesimo 8 settembre dell’Italia senza onore e dignità. Ventotto anni fa c’era Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Un aereo dirottato da un commando palestinese che aveva attaccato l’”Achille Lauro”, atterrò all’eroporto militare di Sigonella, in Sicilia. Gli americani reclamarono la consegna dei palestinesi ai marines. Il presidente del Consiglio si oppose fermamente, facendo venire meno con il suo diniego, la regola imposta dalla fine della guerra dall’Impero americano: l’ossequio al principoio del primato degli interessi statunitensi in Europa. Craxi ebbe il coraggio e la forza di sfidare il potente alleato imponendo il rispetto della sovranità nazionale italiana. Sull’aereo dirottato e sui palestinesi si applicava l’ordinamento italiano, la giurisdizione era incedibile.

Gli americani tentarono la prova di forza. Il premier ordinò all’ammiraglio Martini di assumere il comando delle operazioni militari per far rispettare il nostro diritto. Capita l’antifona, i soldati statunitensi si ritirarono, mentre le autorità italiane arrestavano i quattro dirottatori. Non mi dilungo su tutti i successivi passaggi. Ricordo soltanto che Martini, in accordo con Craxi, comunicò al pilota americano che con il suo aereo ostruiva la pista di Ciampino, dove nel frattempo i ditottatori erano stati trasferiti, che aveva cinque minuti di tempo per togliersi di mezzo, dopodiché avrebbe dato ordine al bulldozer di buttarlo fuori. Ne passano solo tre. L’F-14 a stelle e strisce accese i rumori e si perse nel cielo di Roma.

Sì, fu l’ultimo atto di uno Stato sovrano. Pienamente ed orgogliosamente sovrano. Non possiamo e non dobbiamo rimuoverlo quell’episodio. Dopo poco gli americani cambiarono atteggiamento e riconobbero, senza peraltro mai ammetterlo uffcialmente, il buon diritto dell’Italia a far valere le sue prerogative. E adesso? Uno sbadiglio dell’India ci ha esposto alla più barbina delle figure in campo internazionale. I marò tornano, se ne vanno, restano. Si fa la faccia feroce, poi tutto si conclude com’era prevedibile: la riconsegna a coloro che ne reclamano la detenzione. Ma chi ha architettato questo immondo pasticcio politico, diplomatico, civile, giudiziario? In un altro Paese, Monti ed i suoi ministri, “tecnici” per antonomasia, si sarebbero già dimessi. E poi? Mettiamo il caso che ciò accadesse, chi reggerebbe Palazzo Chigi? Ecco il problema. Il vuoto di potere genera mostruosità come quelle che si sono abbattute sui due fucilieri che da “pacchi postali” vanno e vengono dall’India senza nessuna certezza e con tanta paura addosso.

Si dice che le autorità di Delhi abbiano promesso che a Massimiliano Latorre e a Salvatore Girone non si applicherà la pena di morte, contemplata per il reato di cui sono imputati. Ci si deve fidare? E perché? Gli indiani non si pongono il problema. Non se lo pongono neppure le cancellerie occidentali. E perfino l’ineffabile lady Ashton, commissario europeo per la sicurezza e la difesa, sembra non crucciarsi più di tanto. Anzi, per niente. Siamo soli. Italiani “brava gente”, governati da pessimi burocrati. La sovranità è un sogno che non ci possiamo permettere.


(tratto dal "Secolo d'Italia" 22/3/2013 di Gennaro Malgieri