Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

venerdì 22 aprile 2011

25 APRILE. UNA SCAMPAGNATA AL POSTO DEI CORTEI "RESISTENTI"!!!

Arriva puntuale come ogni anno la fatidica data del 25 aprile e, puntualmente, mi domando il senso di questa festa. A differenza di altre date simbolo della storia nazionale – penso al 2 giugno, al 4 novembre ed ora al 17 marzo – il 25 aprile suscita ancora polemiche e divisioni.

In una recente intervista televisiva lo storico Giovanni De Luna, ex militante di Lotta Continua, ammette che nei primi decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale questa festa non era affatto sentita. Sostanzialmente non era percepita nel Paese come data fondante del nuovo Stato italiano. Per comprendere il clima, nel 1955 in occasione del primo decennale della Liberazione, l’allora ministro della Pubblica Istruzione, il democristiano Ermini, emanò una circolare nella quale invitava le scuole a celebrare il 25 aprile la nascita di Guglielmo Marconi, dimenticando la Resistenza. De Luna ricorda che la retorica resistenziale del 25 aprile prese piede tra la fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70. Fu il Partito Comunista, e successivamente la galassia dei movimenti extraparlamentari di sinistra, ad affermare con forza la data del 25 aprile per appropriarsi i meriti della vittoria sul fascismo e per rilanciare il mito della “rivoluzione mancata”.

Tale data divide invece di unire perché ricorda la fine di una guerra civile che lacerò il Paese, persino le famiglie. Il 25 aprile metterebbe tutti d’accordo se fosse la festa della pacificazione nazionale, non la vittoria di una fazione sull’altra. E nessuno venga a raccontare che le due parti in lotta non possono essere equiparate in alcun modo. Tutti sanno che la parte maggioritaria della Resistenza, in particolare l’ala militare di matrice marxista, non voleva affatto l’attuale sistema democratico, ma l’instaurazione di uno Stato comunista più liberticida del regime fascista. Smettiamola anche di etichettare i giovani combattenti italiani dell’una e dell’altra parte come i portatori di lager e di gulag. La stragrande maggioranza di loro lottava per idee forti, sbagliate per alcuni, ma non certo per esportare l’industria dello sterminio sperimenta in Germania ed in Russia. Basta leggere le lettere dei condannati a morte sia della RSI che della Resistenza. Si parla di libertà, di onore, di patria. A volte si confonde l’appartenenza dell’autore.

Anche questo 25 aprile assisteremo al solito carnevale fuori stagione: cortei con tripudi di bandiere rosse, fazzoletti rossi, slogan rossi. I pochi tricolori in piazza hanno una bella stella rossa al centro. Insomma il 25 aprile è una festa rossa, sarebbe poco cortese pretendere di trasformarla in festa di tutti gli italiani. I commercianti di gadget con Lenin e Guevara subirebbero un danno economico considerevole.

Scusate se lancio un appello, in particolare ai giovani, da reato d’opinione: il 25 aprile disertate i cortei dell’odio e organizzate una piacevole scampagnata con gli amici.

Nelle piazze dei nostalgici (di tutte le età) della guerra civile trasuda un odio antifascista insopportabile. In quelle manifestazioni, promosse dall’Anpi e dai centri sociali, si esalta il lato più spregevole della Resistenza, quello dello scempio di Piazzale Loreto e delle stragi (a guerra finita) descritte da Giorgio Pisanò e Giampaolo Pansa. Sentiremo il solito disco rotto: “uccidere un fascista non è reato”, “coloreremo le nostre bandiere col sangue delle camicie nere”, “camerata basco nero il tuo posto è al cimitero”. Queste manifestazioni hanno fornito la giustificazione morale della caccia ai giovani di destra, decenni dopo la fine della guerra. Ramelli, Di Nella, i fratelli Mattei e tanti altri innocenti sono stati ammazzati per rinnovare l’odio santificato in piazza ogni 25 aprile. Ed in nome di quell’odio, che fa rima con idiozia, continua persino oggi l’accanimento contro chiunque militi a destra.

Credetemi, l’Italia migliore non la trovate in quelle piazze ma nelle scampagnate fuori porta, da nord a sud. In quelle gite c’è il Paese reale che certi politici, e tanti storici, non comprendono. È l’Italia che ha ritrovato la pacificazione nazionale nonostante la retorica del 25 aprile e l’antifascismo militante. È l’Italia profonda che, secondo Marcello Veneziani, ha caricato sulle sue spalle il fascismo riuscendo così a metterlo alle spalle: “Il fascismo non si può cancellare dalla storia, a partire dalla storia familiare di ciascuno di noi. Sare mo un Paese civile quando avremo dige rito il nostro passato e non ce lo tirere mo addosso per rinfacciarci colpe che noi non abbiamo”.

Si ritrovano, in quelle scampagnate, i figli ed i nipoti di chi fece scelte diverse. Ognuno con la sua storia personale e familiare che non rinnega. Si sta insieme, si mangia e si beve alla stessa tavola, si ride. Lì non c’è spazio per l’odio, non si augura la morte a nessuno. Si parla di calcio e politica, due questioni che non mettono mai d’accordo gli italiani. Ci si sente però, seppur nelle diversità, figli di una comune quanto complessa storia nazionale. Figli di una stessa Patria.

L’odio del 25 aprile è rosso, la scampagnata del 25 aprile è tricolore…

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