Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

mercoledì 9 marzo 2011

UNITA' D'ITALIA SI, (MA SENZA MENZOGNE)

PUBBLICHIAMO L'ARTICOLO SCRITO PER PLUS ULTRA WEB DA UN RAGAZZO DELLA GIOVANE ITALIA SICILIA.


La querelle sul 17 marzo non è stata edificante. Dibattere sull’opportunità di festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia in base al dato economico è stato francamente mortificante. Ma dietro le provocazioni leghiste si cela un sentimento molto radicato, da nord a sud, di insofferenza rispetto a certa “esaltazione acritica di un patriottismo parolaio” ben descritta da Giordano Bruno Guerri. Intendiamoci, la stragrande maggioranza degli italiani non mette in dubbio il valore dell’unità nazionale ma, dopo 150 anni, non si può pensare di rinvigorire negli italiani l’amore per la patria con i racconti del libro Cuore o con aneddoti eroici dimenticando il vero corso della storia. Una storia fatta anche di intrighi massonici, di stermini e di saccheggi, in particolare ai danni delle popolazione del meridione. Il sud fu teatro della “prima guerra civile italiana” (a nord si svolse la seconda e ben più grave tra il 1943 ed il 1945) tra italiani del settentrione e del meridione.
Altro che “fratelli d’Italia”, prima e dopo il 1861 al sud si fronteggiarono giovani italiani in una lotta fratricida.

Quei “piemontesi” e quei “briganti” furono però vittime della classe dirigente dei vari regni preunitari, accomunata dalla stessa miopia politica. Già nel dibattito dei primi decenni dell’ottocento c’era la consapevolezza che la condizione prioritaria per arrivare ad un’unificazione giusta, accettata da tutti, era costruire una confederazione italiana di Stati sovrani, senza alcuna prevaricazione da parte di una corona sull’altra. Questa ipotesi fu ad un passo dalla sua realizzazione. Saltò tutto per colpa della scarsa lungimiranza di Francesco II di Borbone. Poi la storia è nota: Cavour, pur ritenendo inizialmente l’unità nazionale una “corbelleria”, si rassegnò cinicamente all’idea di “piemontesizzare” tutta l’Italia; Garibaldi invase la Sicilia con l’appoggio della flotta britannica e la sostanziale corruzione delle più alte gerarchie dell’esercito regolare del Regno delle Due Sicilie. Per “convincere” le popolazioni del meridione della bontà del processo unitario, il neonato Stato emanò la legge Pica del 1863 con la quale impose lo stato d’assedio, trasferì i poteri ai tribunali militari, utilizzò lavori forzati e fucilazioni, sospese ogni garanzia costituzionale.


Eppure, nonostante i tanti errori di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze, senza il Risorgimento non si sarebbe arrivati a realizzare il sogno manzoniano dell’Italia “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”. Quell’unità malfatta, con i conseguenti rancori tra nord e sud, furono in parte superati nel fango delle trincee del Carso e dell’Isonzo durante la prima guerra mondiale. Lì non c’era tempo per dividersi, per rinfacciarsi le colpe dei padri. C’era la patria da difendere, la voglia di riscattarsi dopo Caporetto. Bisognava sforzarsi di parlare l’italiano per comprendere gli ordini. Tedeschi e austriaci stavano per dilagare nella penisola, bisognava fare scudo con i propri corpi sul Piave. Siciliani, romani e veneti piangevano per i propri commilitoni uccisi e gioivano per le vittorie. Fu il cameratismo delle trincee a creare il collante nazionale. Questa è la verità che il compagno Benigni non può dire a Sanremo.

A Vittorio Veneto si consacrò l’unità reale delle genti italiche. Ma si trattò solo di una “rinascita”. L’Italia non è infatti nata nel 1861, o nel 1918 o addirittura nel 1946. Per capire quando è nata la nostra patria dobbiamo scomodare un grande letterato russo, Fedor Dostojevskij, che scrisse nel suo Diario di uno scrittore: “Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale e, quando non lo comprendevano, lo sentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale”.

Da palermitano critico verso il Risorgimento dico che bisogna superare gli antichi risentimenti e celebrare insieme l’unità ritrovata. E allora festeggiamo il 17 marzo, ricopriamo le città di tricolori, suoniamo e cantiamo l’inno anche senza un pallone da calcio. Ma spieghiamo, soprattutto alla gioventù italiana, che la nostra patria, la terra dei padri, ha una storia nobile molto più antica degli ultimi 150 anni. Spieghiamo agli italiani di Bolzano e di Palermo che, parafrasando il professore Tommaso Romano, lo spirito italiano è pre-politico, genetico, linguistico e affonda le sue radici nella romanità, nella cultura greco-latina e nel medioevo cristiano. Tale spirito, sempre secondo Romano, è da ascrivere all’ethos della “nazione spontanea”, una dimensione profonda che sedimenta nella coscienza i tratti della tradizione di un popolo. Solo così potremo vincere le sterili provocazioni della Lega.

Mettiamo quindi da parte le misere esaltazioni patriottarde condite da menzogne storiche, parliamo dell’Italia vera. Vedrete che i tricolori sventoleranno orgogliosamente ancora più in alto.


Mauro la Mantia

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