Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

lunedì 21 febbraio 2011

DESTRA: OGNUNO LA SUA

Destra e sinistra sono concetti che si affermano con la democrazia parlamentare come collocazioni o meglio “posti a sedere”… Nei secoli ci si sforza di riempire le sedie di significato: contingente (su una scelta specifica) filosofico, sociale o sociologico, internazionale, persino antropologico...

Con la caduta del Muro e la fine del mondo bipolare, la comunità “intellettuale” (quelli che leggono, scrivono e poi si rileggono) ha ritenuto più o meno giustamente che le categorie sino ad allora date per scontate non avessero più ruolo, ragion d’essere, legittimità o utilità… Il problema è che questa élite di pensatori e scrittori non rappresenta quasi nulla per la stragrande maggioranza dei cittadini europei e occidentali che - se legge - legge qualcosa di già digerito dieci volte, banalizzato, volgarizzato e generalmente stantio. Quindi, le analisi dei politologi e degli scienziati della politica sono giuste in teoria ma - come spesso accade - la realtà (che è quella cosa che resta uguale indipendentemente dai nostri desideri) non ne prende alcuna nota e va avanti per la sua strada ignorandoli.



Dopo Fukuyama tutti diventano liberali… Con Wojtyla, a un certo punto, tutti si riscoprono cattolici… Con Huntington tutti si riscoprono patriottici… E si cerca di smembrare ognuna di queste categorie nella propria scatola. Il tentativo di definire nuove categorie o clivadges è rimasto puro quanto sterile esercizio accademico.

Nella vulgata, “destra” e “sinistra” continuano a sopravvivere e a farla da padroni nell’irreversibile semplificazione della cronaca politica.

Il problema nasce a questo punto: le scatole sopravvivono e sono scatole così enormi, ingombranti e opache che la quasi totalità delle persone ne vede solo l’esterno. Si parte quindi alla rinfusa per dare nuovo contenuto ai contenitori, ognuno improvvisando a modo suo. I politici di lungo corso cercano di riattualizzare le tradizioni, quelli nuovi e rampanti strillano le loro banalità per appropriarsi di storie e blasoni che non gli appartengono. Intellettuali che hanno cambiato ambizioni o mecenati - o più semplicemente hanno esaurito un filone o hanno litigato con gli amici di sempre - ridefiniscono le categorie aggiustandole sartorialmente attorno a se stessi. Si verificano così “incursioni”, “commistioni”, “trasformazioni”, “tradimenti”, “contaminazioni” e varie altre virgolettature che - prontamente incialtronite dalla stampa quotidiana (che fa il suo mestiere di distribuire ai lettori il mondo in pillole e quindi banalizzare, frullare e maciullare tutto in un pappone insipido da speziare e condire con sapori forti per far finta che sappia di qualcosa) - confondono ancor di più idee e ruoli, personaggi e storie.

Quelli che più si impegnano a conservare le caselle sono i sinistrorsi bobbiani come Marco Revelli (che è quasi ossessionato dal compito di preservatore dei significati di destra e sinistra). La sinistra ovviamente è la più attrezzata a gestire la guerra dei significati: è soverchiante in campo accademico, mediatico, giornalistico, editoriale e persino in campo pubblicitario, nelle arti e nell’intrattenimento… Quindi ha in mano la lavagna e i gessetti per fare di continuo la lista dei buoni e dei cattivi. E loro sono sempre i buoni…

Ma il gioco ha smesso di funzionare da quando, inesorabilmente, la sinistra è entrata in crisi in quanto facciata senza palazzo e contenitore senza contenuto. Veltroni le ha dato il colpo di grazia, ma non è stata tutta colpa sua. La logica della creazione di una realtà che contenesse tutto ciò che fosse accattivante e positivo con l’etichetta di “sinistra”, in alternativa a tutto ciò che fosse odioso e deprecabile - anche dentro ognuno di noi, così da proiettarlo all’esterno ed esorcizzarlo - etichettato come “di destra”, non poteva funzionare in eterno.

Funzionava finché la sinistra vinceva - perché più che avere ragione alla gente piace essere vincente - ma alla prima sconfitta ha cominciato a sgretolarsi. Certo, sopravvivono gli apparati, le conventicole, i controlli e i controllori, ma l’era dell’identificazione e del consenso automatico è definitivamente tramontata.

In ossequio alle leggi della fisica e della politica - che, entrambe, non conoscono spazi vuoti - la perdita di attrattiva della categoria “sinistra” ha ridato progressivamente attrattiva all’etichetta “destra”. Ma come dopo uno tsunami, che aveva travolto tutto ciò che era secolarmente considerato di destra sovvertendone i significati, la risacca ha riportato a riva ben pochi oggetti integri e, perlopiù, rottami e detriti.

Come nei film sui naufragi, ben presto sono apparsi sulla battigia indigeni con cappelli piumati, giubbe decorate e sciaboloni - o magari leggiadri abiti da ballo - ritrovati in qualche baule spiaggiato.

Come dopo ogni cataclisma naturale o sociale che si rispetti, essendo stato tutto rimestato, ti trovi il duca che fa il cameriere e il mezzadro che è diventato proprietario terriero e fa il gattopardo. Che ciò sia bene o male ognuno giudichi da sé.

Mao sosteneva che se c’era «grande confusione sotto il cielo» la situazione era «eccellente». Ma lui era un grande capo sovversivo che voleva spazzare via un impero millenario. A noi, la confusione ha sempre dato un tantino fastidio.

Forse la destra semplicemente non c’è più. Forse non c’è mai stata. Forse è meglio così. Potremmo dimenticarne il suono, senza grandi rimpianti, se solo fossimo capaci di dare un altro nome a ciò che siamo ma - soprattutto e di più - a ciò a cui tendiamo, a ciò che vorremmo essere.

Per intanto ognuno dice “destra” o - quasi per pudore - “centrodestra”, ma forse intendendo cose diverse. Qualcuno dice “tizio non è più di destra”, ma poi ammette “io non lo sono mai stato”. Altri reinterpretano, ridefiniscono e riscrivono. Qualcun altro, semplicemente, se ne frega, cavalca l’onda positiva e, semmai, quando dirsi di destra sarà definitivamente passato di moda, si definirà in qualunque altro modo gli possa convenire in quel momento. Difficile a crederlo, ma ne esiste di gente così… Soprattutto in politica.

di Marcello De Angelis

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