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mercoledì 2 febbraio 2011

BERTO RICCI, l'ortodossia della trasgressione


Roberto Ricci (detto Berto) (Firenze, 1905 – Bir Gandula, 1941) è stato uno scrittore, poeta e giornalista italiano. Fu uno dei più importanti pensatori fascisti, fondò la rivista L'Universale e collaborò con la Scuola di mistica fascista guidata da Niccolò Giani e Guido Pallotta. Scrisse su "Il Popolo d'Italia", "Critica fascista" e "Il selvaggio". Fu amico personale di Indro Montanelli con cui collaborò a L'Universale.

Berto Ricci fu professore di matematica a Prato, Palermo e Firenze. Da giovane ebbe simpatie per l'anarchia ma nel 1927 aderì al fascismo, vedendo nel movimento di Benito Mussolini l'attuazione delle idee sociali e vitaliste che da sempre Ricci aveva coltivato. Nel 1931 fondò la rivista "L'Universale". Non navigò mai particolarmente nell'oro, tanto che in molti - l'aneddoto verrà narrato più volte da Indro Montanelli e Giampiero Mughini - hanno ricordato l'episodio del "banchetto" nuziale composto unicamente di sette cappuccini offerti da Ricci ai pochi convenuti.

Nel panorama culturale degli anni '30 mostrò un particolare attivismo, dialogando o collaborando con personalità come Giuseppe Bottai, Julius Evola, Ernesto De Martino, Romano Bilenchi, Ottone Rosai, Camillo Pellizzi. Interessato lettore de “L’Universale”, Mussolini fece convocare Ricci Palazzo Venezia nell’estate del 1934. Il "duce" si complimentò con lo scrittore e i suoi collaboratori, invitandoli a collaborare col “Popolo d’Italia”, dove tennero una rubrica, “Bazar”. Le posizioni quasi "di sinistra" de "L'Universale" vennero in compenso criticate da Roberto Farinacci, che vi vide un attentato al diritto di proprietà.

L'ultimo numero de "L'Universale" uscirà il 25 agosto 1935 con la giustificazione che allo scoppio della guerra d'Etiopia - nella quale Ricci combatterà come volontario - "non è più tempo di carta stampata".

Nel 1940 partecipò al primo convegno nazionale della Scuola di Mistica Fascista sostenendo che "la mistica fascista ripropone al Partito, alla Milizia, agli Organi dello Stato, agli Istituti del Regime, di continuo il tema della unità sociale, dinamica unità che non si limita all’assistenza economica e al miglioramento delle condizioni di chi lavora, insomma a una pratica demofila, ma punta sulla civiltà del lavoro, tende a realizzare una più elevata moralità e insieme un maggior rendimento collettivo (governo della produzione e del consumo, graduale ridistribuzione della ricchezza, bonifica e autarchia, il produttore compartecipe e corresponsabile dell’azienda, il lavoratore proprietario) e per questo, come ogni mistica chiamata a operare in concreto sulla storia e ad ergervi fondazioni durevoli, soddisfa anche a requisiti razionali”.

Di formazione anarchica, Ricci propose sempre una sua versione del fascismo a forte impronta sociale e intransigente nei confronti della borghesia (intesa come categoria dello spirito). Si fece sostenitore di "una modernità italiana 'da venire', condizione primissima della potenza nostra nazionale" e affermatore "d'una tradizione nostra civile, arricchita di millenaria cristianità ma sostanzialmente e robustamente pagana" (L'Universale, Anno II, n. 8-9, agosto settembre 1932).

Anche negli "anni del consenso" non si stancò di invocare una "rivoluzione perpetua" che combattesse quanti, di mentalità sostanzialmente a-fascista o addirittura antifascista, avevano trovato posto nel regime portandovi, secondo Ricci, una mentalità borghese estranea allo spirito della Rivoluzione fascista. Ovvero, per lo scrittore fiorentino, si trattava di accompagnare la lotta agli "inglesi di dentro" a quella puntata contro "gli inglesi di fuori".

Questa visione marcatamente sociale e votata a continuare la rivoluzione anche all'interno del regime è ben visibile in "Avvisi" come questo:

« Finché il controllore ferroviario avrà un tono coi viaggiatori di prima classe, e un altro tono, leggermente diverso, con quelli di terza; finché l’usciere ministeriale si lascerà impressionare dal tipo “commendatore” e passerà di corsa sotto il naso del tipo a “povero diavolo”, magari dicendo torno subito; finché l’agente municipale sarà cortesissimo e indulgentissimo con l’auto privata, un po’ meno col taxi e quasi punto con quella marmaglia come noi, che osa ancora andare coi suoi piedi; finché il garbo nel chiedere i documenti sarà inversamente proporzionale alla miseria del vestiario; eccetera eccetera eccetera; finché insomma in Italia ci sarà del classismo, anche se fatto di sfumature spesso insensibili agli stessi interessati per lungo allenamento di generazioni; e finché il principal criterio nello stabilire la gerarchia sociale degli individui sarà il denaro o l’apparenza del denaro, secondo l’uso delle società nate dalla rivoluzione borghese, delle società mercantili, apolitiche ed anti-guerriere; potremo dire e ripetere che c’è molto da fare per il Fascismo. Il che poi non è male. Non è male, a patto che lo si sappia bene » ( L'Universale, 10/2/1935)


Filosoficamente, si mise in contrasto con Giovanni Gentile, pubblicando in contrapposizione all’idealismo del filosofo siciliano un “Manifesto Realista” che suscitò l'interesse di Julius Evola, anch'egli impegnato negli stessi anni in una battaglia filosofica anti-idealista.

Ricci partì volontario per la Seconda guerra mondiale. Nel gennaio 1941 scrisse ai genitori: “Ai due ragazzi penso sempre con orgoglio ed entusiasmo. Siamo qui anche per loro, perché questi piccini vivano in un mondo meno ladro; e perché la sia finita con gl'inglesi e coi loro degni fratelli d’oltremare, ma anche con qualche inglese d’Italia”. Verso le 9 di mattina del 2 febbraio 1941, il suo plotone fu attaccato vicino a Bir Gandula, in Libia, da uno Spitfire inglese, che lo falciò di netto. Oggi è sepolto nel Sacrario Militare dei Caduti d'Oltre Mare di Bari con il nome di "Roberto Ricci".

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