Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

lunedì 10 gennaio 2011

AMBIENTALISMO ETICO. SI ALLE TRADIZIONI, NO ALLA SPECULAZIONE.

Pubblichiamo un articolo apparso su Repubblica qualche giorno fa

Il cambio di destinazione valorizzerebbe i terreni, ma a loro non interessa. "Questa è la nostra vita da sempre, far morire i campi non è vera ricchezza"

dal nostro inviato FRANCESCO ERBANI

TREVISO - Prima uno, poi un altro, poi un altro ancora. Da Morgano a Valdobbiadene, da Godega di Sant'Urbano a Conegliano e quindi nel capoluogo, a Treviso. Altri, si dice, verranno. Sono contadini, proprietari di terreni che i Comuni vogliono rendere edificabili per farci villette e capannoni industriali. Ma loro si oppongono e insistono perché restino agricoli. Ci perdono tanto: il cambio di destinazione può valere dalle cinque alle dieci volte il prezzo di partenza. Non è come una decina d'anni fa, quando questo lembo di Veneto fu seminato di cemento e un'edificabilità faceva crescere anche di cento volte il prezzo agricolo. Ma è pur sempre la rinuncia a un bel gruzzolo.

Eppure non demordono. La famiglia Favaro di Morgano e la famiglia Caldato di Treviso coltivano la terra che coltivavano i nonni e chiedono di continuare o anche solo di tosare il quadrato verde che sta davanti a casa, di curare gli scolmatoi, di pulire le rogge e di non vederlo diventare lo svincolo di un distretto industriale. Nel frattempo il Comune gli impone di pagare l'Ici come se avessero già costruito. Ma dalla loro parte sono schierati il Fai e Italia Nostra e li assiste Francesco Vallerani, geografo dell'Università di Venezia.

I Favaro e i Caldato sono mosche bianche in questa provincia. Stando ai calcoli di Tiziano Tempesta dell'Università di Padova, nei piani regolatori dei 95 comuni del trevigiano sono conteggiate 1077 aree produttive, dieci per comune, la gran parte inferiori a 5 ettari e disseminate

a caso nel territorio. Molti, però, sono i capannoni sfitti (il 20 per cento in tutto il Veneto) e molte le aree già lottizzate sulle quali non si costruisce. Una, grande 15 mila metri quadri, è quasi al confine della proprietà dei Favaro. E lungo la provinciale che porta dai Caldato c'è un filare di stabilimenti vuoti. Ma nonostante questo, le concessioni di edificabilità fioccano quasi per inerzia. Chiunque può se le accaparra. Non tutti, perché il trevigiano è il territorio con il più alto numero di comitati in difesa del paesaggio, benedetti da Andrea Zanzotto che vigila dalla sua casa di Pieve di Soligo.

I Favaro hanno 4 ettari di terreno a Morgano. Coltivano mais. Ma la loro specialità è un vivaio di piante autoctone - aceri, querce, olmi, platani - allevate in un piccolo bosco che ripropone un brandello di paesaggio veneto. Chi le compra le lascia crescere lì e poi le porta via con l'intera zolla dopo tre o quattro anni. L'amministrazione comunale ha deciso che Morgano deve ingrandirsi con un'area industriale di 90 mila metri quadri in una zona paludosa, circondata da corsi d'acqua e che, sovrastata di cemento, rischia di finire sotto, come durante l'alluvione di due mesi fa. Siamo nel Parco del fiume Sile, in un sito protetto dalla Comunità europea. In questi 90 mila metri quadri ci sono i 40 mila dei Favaro. "A noi bastano i soldi che guadagniamo facendo gli agricoltori. Qui il cemento si mangia la terra, ma non porta più ricchezza", dice uno dei fratelli Favaro, "se avessimo l'edificabilità e vendessimo non ci darebbero soldi, ma un appartamentino in una villetta a schiera". Ora la decisione rimbalza fra Comune e Regione. Ma se l'edificabilità fosse imposta, i Favaro andranno in tribunale.

Più piccolo - 18 mila metri quadri - il terreno dei Caldato, alle porte di Treviso. Ma molto antica la storia che Pietro, con il fratello Roberto e la sorella Enrichetta, ha ricostruito fin dal Seicento e che attesta la loro proprietà dai primi dell'Ottocento. Ci sono una vigna, un orto e tanto prato. Ma il Comune di Treviso vorrebbe farne area industriale, squarciando il terreno con una strada che sfocia in una rotonda. E ai Caldato chiede di pagare l'Ici dal 2003, quando fu approvata la variante al piano regolatore: quasi 60 mila euro. "Della ricchezza che altri inseguono non sappiamo che farcene", dice Pietro. Ora con il Comune è in corso una trattativa. È intervenuto il sindaco. "Rischiamo di perdere la nostra terra e la nostra libertà. Ma ancora preserviamo il nostro modo di pensare e di vivere. I soldi? Non possiamo portarceli dietro quando saremo morti".


Perchè pubblichiamo questo articolo? Semplice. La speculazione edilizia raggiunge ormai cifre enormi nel nostro paese, e la "modernità" avanza spazzando via le nostre tradizioni e stravolgendo i nostri paesaggi. L'esempio di queste due famiglie contadine, legate ai sani valori della terra, è quasi commovente in un mondo dove i valori sembrano spariti per far posto al Dio Denaro. Spiace vedere come il comune di Treviso, gestito dai cari amici leghisti che fanno della difesa delle tradizioni e del territorio il loro cavallo di battaglia (altra storica battaglia della Destra che è stata usurpata dalla Lega) se ne sbatta del parere delle due famiglie in questione. Evidentemente quando il denaro chiama, anche i cosiddetti paladini delle tradizioni si piegano al suo volere. Siamo vicini alle famiglie Favaro e Caldato, e siamo vicini a tutte quelle persone che, anche nella nostra provincia, lottano contro la mastodontica forza di cementificatori insediati negli apparati di governo, che schiacciano chiunque gli si metta davanti, vuoi con espropri, vuoi con liquidazioni (e a volte anche senza quelle).

Nessuno vuole fare un discorso ambientalista stupido come quello dei Verdi, non è nel nostro DNA di persone ragionevoli. AL contrario l'ambientalismo di Destra è un ambientalismo che guarda l'etica e che mette al centro la persona. Perchè costruire capannoni industriali laddove ci sono terreni adiacenti, già adibiti per l'uso industriale, non ancora edificati come a Treviso? O perchè costruire una superstrada, la Pedemontana, la cui costruzione comporterà attualmente la crisi di molte attività storiche di molti paesi della Valle Olona, oltre che a uno sventramento di colline e boschi? La pedemontana serve? Può darsi, ma dove è l'etica in tutto questo?

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