Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

martedì 28 settembre 2010

MARCELLO DE ANGELIS: perchè rimango nel PDL


Il sottoscritto è rimasto dov’era, nel partito che lo aveva fatto eleggere piazzandolo in una lista contrassegnata da una sigla e dal nome di un candidato premier che, è verosimile ritenere, gli elettori hanno votato senza perder tempo a scorrere i nomi.
Malgrado la cosa possa apparire scontata, la scelta non è stata indolore. Ci sono stati giorni di vera angoscia e notti insonni causate da laceranti dubbi. Il problema non si poneva in termini di fedeltà personali, che sono pure importanti, o di riconoscenza.

Senza voler togliere nulla a nessuno, è mia assoluta e profonda convinzione che chi si pone la questione solo in questi termini sia privo di dignità politica. Chi chiede “con chi stai? Con Berlusconi o con Fini?” si rivolge a un pubblico di seguaci e tifosi, strumenti o spettatori. La politica si fa in prima persona - non in un codazzo - e assumendosene personalmente la responsabilità.
Siamo cresciuti in un’Italia in cui uno poteva dire le cose più sacrosante, ma bastava che i media avvertissero il lettore che a dire quella cosa era un “fascista” o anche solo uno “di destra” per significare che o era stata detta in malafede, o che nascondeva un maligno secondo fine o che fosse stupefacente che una persona che aveva strutturalmente torto potesse dire una cosa vera o, in ultima analisi, che se la cosa era giusta lo era perché il tizio si stava disintossicando dal suo “essere di destra” per diventare normale.
Da quando esiste il Pdl - ironia della sorte - uno non può dire nemmeno la cosa più ovvia ed evidente su quello che non va bene e che dovrebbe essere messo a posto, senza essere messo all’indice come mestatore finiano, esattamente come prima ti dicevano che non potevi parlare perché eri “fascista”. Questo tipo di giornalismo fa schifo.
Accantonato il “problema Fini”, che è servito a molti come cortina fumogena, chiarito che non stiamo con Bocchino ma con il Pdl, di cui è sempre stato unico e indiscutile leader Silvio Berlusconi, possiamo quindi dire quello che pensiamo senza essere marchiati. Possiamo dire che anche a noi pare che nel Pdl una questione etica esista e sia piuttosto seria e facciamo appello al leader perché si faccia carico di un’adeguata quanto immediata risposta al problema.

E possiamo anche dire che, effettivamente, i parametri di valutazione che determinano la crescita all’interno del Pdl e addirittura il raggiungimento di ruoli di governo ci appaiono piuttosto nebulosi e, a volte, addirittura equivoci.
Nessuno nega il problema primario dell’uso politico dello strumento giudiziario, né che esista una cospirazione che spinge alcuni magistrati a cercar di battere Berlusconi nei tribunali visto che non si riesce a farlo nelle urne.

Le due questioni però vanno risolte insieme: da una parte con una vigilanza interna molto dura che non consenta a chi rappresenta il Pdl di mettere l’intero partito in cattiva luce, dall’altra disinnescando le offensive giudiziarie manifestando buona fede e senso di responsabilità. Il muro contro muro sino ad ora non ha dato frutti. Siamo d’accordo che non si può accettare che sia la Magistratura a decidere gli organigrammi dei partiti e del governo, pensando di eliminare chi non gli sta bene con il semplice strumento del sospetto, ma la risposta non possono essere solo modifiche legislative che ci espongono tutti alla critica di fare leggi opportunistiche.
Forse il gesto più nobile e responsabile sono proprio le dimissioni, di chiunque venga indagato e con la pretesa che la propria situazione sia chiarita in tempi immediati. Non possono arrestarci tutti, né metterci tutti sotto processo. Questa è la vera resistenza civile: andare a testa alta incontro all’ingiustizia, subirla e sopravviverle. Se il Pdl è in grado di fare questo è imbattibile.
Abbiamo infine il dovere di ricordare a noi stessi che, in questo gioco al massacro (“reggi lo strascico a Fini o a Berlusconi?”) non solo è sparita la politica - di proposta o critica che sia - ma l’identità, la cultura, la storia, la memoria, la dignità di una parte importante - e per noi essenziale - della nostra vita comune. L’ex An, erede di molteplici storie tutte sicuramente più sacre di ogni percorso personale, ha compiuto un non richiesto e avvilente auto-genocidio.
Dopo la banalizzazione strumentale che ha ridotto la destra ad una griffe da salotti elettorali, dopo che la storia e la memoria sono state sfruttate per accaparrarsi una manciata di voti o un consenso parlamentare da buttare sul tavolo di qualche contrattazione personale, assistiamo all’ultimo atto di una tragica farsa che vede l’eredità d’impegno e sacrificio di centinaia di migliaia di persone ridotta a una quantificazione notarile da spartire tra ex-azionisti di maggioranza.
Dobbiamo chiederci in tutta sincerità se c’è ancora un modo per continuare a fare politica come l’abbiamo sempre intesa, se siamo rimasti veramente soli a ritenere che il ruolo della politica sia selezionare i più dediti, i più preparati e i più capaci di sacrificio per proporli poi all’accettazione del popolo come “responsabili” di una vita pubblica quanto più improntata all’interesse comune e al comune sentire, se siamo rimasti anacronisticamente marginali nel credere che la politica serva ai giovani come scuola di responsabilità e formazione alle virtù civili.
Se ormai tutti ritengono che la politica sia solo uno strumento di arricchimento e prevaricazione - e molti addirittura vi si avvicinano perché di questo vogliono approfittare - forse è anche colpa nostra, perché abbiamo rinunciato o non siamo stati capaci di imporre i nostri valori in modo chiaro.
Il dovere dell’impegno c’è ancora, anzi è tornato più essenziale. Si può rinunciare o tentare di non buttare il bambino insieme all’acqua sporca. Noi non vogliamo mollare.

Marcello De Angelis

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