Nei momenti felici di una grande nazione, la gioventù prende gli esempi; nei momenti difficili, li da.

lunedì 28 marzo 2011

Drammatico bilancio della RU486 ad un anno dalla commercializzazione

Oltre seimila scatole vendute e 6654 procedure di aborto effettuate: sono queste le cifre che raccontano il primo anno della pillola abortiva RU486 in Italia, la cui messa in commercio è stata autorizzata e diventata effettiva dal 1 aprile dell’anno scorso. A dare le cifre è Marco Durini, medical director della Nordic Pharma, l’azienda distributrice del farmaco in Italia.

«In questo primo anno le scatole vendute sono state 6066 – spiega – mentre le procedure di aborto farmacologico che stimiamo siano state effettuate sono 6654. Questo perchè mentre tutte le regioni usano una sola scatola per ogni protocollo, l’Emilia Romagna usa una confezione per tre procedure». A livello regionale il primato per il numero di confezioni acquistate spetta al Piemonte, con 1624 scatole, seguito da Toscana (773) e Liguria (735). Decisamente basse le richieste invece di Calabria e Abruzzo, con 15 confezioni acquistate, e delle Marche (5). «Ma in realtà ci sono regioni come Lazio e Lombardia – commenta Durini – che pur avendo il maggior numero di aborti l’anno in Italia e quindi un interesse maggiore al farmaco, sono quelle dove la RU486 stenta maggiormente.
Basti pensare che in Lombardia, dove gli aborti in un anno sono stati più di 5000, secondo i dati Istat, le confezioni acquistate di RU486 sono state 604, e nel Lazio, dove le interruzioni volontarie di gravidanza sono state oltre 3mila, solo 142 le scatole comprate»

Per ogni giovane di destra, che crede nella vita come in un qualcosa che non è nostra, ma che ci è stata donata, che crede che non debbano essere i bambini a pagare le colpe dei genitori sconsiderati e stupidi che non usano i contraccettivi, la parola d'ordine è una sola, semplice: NO ALL'ABORTO!

La nostra Italia vive un calo demografico attenuato solo dall'ingresso di extracomunitari che fanno più figli di noi. E intanto la nostra popolazione invecchia, i piccoli paesi si spopolano, e l'Italia diventa sempre più multietnica.
Troppi nostri coetanei pensano al guadagno facile, alla carriera lavorativa e all'assenza di responsabilità, tutte cose che scoraggiano le giovani coppie a mettere al mondo un bambino.

Per sconfiggere questa mentalità servono misure concrete, che a Destra sono propagandate da anni, come IL SOSTEGNO ECONOMICO ALLE GIOVANI COPPIE CON UN FIGLIO, ASILI NIDO NEI LUOGHI DI LAVORO PER LE NEOMAMME LAVORATRICI, INCENTIVI ALLE DONNE INCINTE DURANTE LA MATERNITA', SOSTEGNO ALLE GIOVANI MAMME, ANCHE MINORENNI, IN DIFFICOLTA' ECONOMICA E SENZA IL NECESSARIO AIUTO DA PARTE DELLA FAMIGLIA, FINANZIAMENTO MAGGIORE DEI CENTRI DI AIUTO ALLA VITA, e, ovviamente, una sana educazione che inizi dalla scuola e che faccia capire ai ragazzi che una vita è VITA fin dal suo iniziale concepimento.
L'Aborto non è un diritto della donna, ma è un omicidio.


venerdì 25 marzo 2011

BLITZ DI GIOVANE ITALIA VARESE IN CONSIGLIO COMUNALE!


Ieri sera una ventina di militanti della Giovane italia hanno intonanto l'inno di Mameli sulla porta della sala consiliare comunale di Varese, in aperta polemica con chi, anche all'interno dell'attuale maggioranza di governo di centro destra della città, si rifiuta di far eseguire l'inno italiano all'inizio di ogni seduta del consiglio.

Nonostante il grande sentimento unitario che ha attraversato i cuori degli italiani da nord a sud, dalle Alpi all'Etna, una parte dei nostri politici fa finta di non vedere questo sentimento e bistratta i simboli della nostra patria.

Protagonisti i consiglieri Stefano Clerici e Giacomo Cosentino, esponenti della Giovane Italia nell'amministrazione comunale.

E' stato anche distribuito ai consiglieri comunali il DECALOGO DEL PATRIOTA, un volantino elaborato dalla Giovane Italia, che sarà distribuito anche agli studenti nelle scuole di varese e provincia nonchè in centro nei prossimi gazebi che vedranno il movimento giovanile del Pdl in piazza, tra la gente, cioè là dove un partito assume un senso.

Le critiche piovuteci addosso da diverse parti, perchè avremmo potuto entrare direttamente nella sala consiliare invece che restare sulla porta, non ci toccano. Siamo certi che se fossimo entrati saremmo stati criticati lo stesso dai soliti noti, e forse anche dai meno noti. E' andata bene così, il nostro scopo è stato raggiunto, poichè molti consiglieri sono usciti dall'aula e qualcuno ha anche cantato l'inno con noi, perciò non possiamo che esserne felici.

"Noi giovani e belli, ricchi d'amore, da sempre orgogliosi del Tricolore"

GIOVANE ITALIA VARESE!

martedì 22 marzo 2011

l'ipocrisia sulla Libia e la falsa crociata dei Francesi.

In politica estera anche l'Uganda tiene una linea compatta e responsabile. La nostra opposizione invece, dal Pd a Fli e Idv, ha speculato sugli accordi bilaterali fatti dall'Italia con la Libia e la Russia, che ci hanno portato enormi vantaggi commerciali, energetici, economici, oltre al controllo dei flussi migratori verso Lampedusa. Hanno preferito anteporre all'interesse nazionale il solito antiberlusconismo e hanno scoperto che Gheddafi è un tiranno proprio quando l'Italia trasformava la Libia in un neo-protettorato grazie a un trattato di amicizia. Come se lo Yemen, l'Arabia Saudita, l'Iran, la Siria, la quasi totalità dei paesi africani, Cuba, la Cina, mezza Asia, mezza America, fossero territori governati da repubbliche democratiche e non da un manipolo di dittatori che soggiogano miliardi di persone conculcandone le libertà fondamentali, i diritti civili e politici. Come se tutte le potenze occidentali non intrattenessero con queste nazioni, che non conoscono nemmeno il significato della parola "democrazia", rapporti commerciali e non ci concludessero cospicui affari, fregandosene altamente delle popolazioni oppresse.
Così, per l'istantanea soddisfazione di vedere messo in croce un nemico politico, hanno finito per danneggiare la nostra comunità facendo il gioco di quelle potenze straniere che stavano soffrendo l'iniziativa dell'Italia, finalmente emancipata da un pluridecennale rapporto di subalternità internazionale che durava dal secondo conflitto mondiale. Non si trattava di fare la guerra agli Stati Uniti o alla Francia, che restano nostri partner indiscussi, ma di andare sul mercato e spuntare prezzi per l'energia più convenienti di quelli che ci erano imposti dalle multinazionali "tagliagola" degli infingardi alleati occidentali.

Oggi fa piacere constatare che i diritti democratici delle popolazioni civili valgono un intervento militare e attendiamo le relative conseguenze sullo scacchiere internazionale per sceicchi, rais, dittatori, militari e comunisti. La sensazione è che, grazie anche all'importante contributo dell'opposizione italiana, qualcuno non abbia potuto tollerare la nuova centralità acquisita e abbia forzato la mano non già per liberare un paese da uno dei tanti dittatori che ci sono sul pianeta, ma per rovesciare una sorta di "neo-protettorato" che l'Italia aveva costruito in Medio Oriente con metodologie pacifiche e abilità diplomatica. Ma, certo, gridando al carnefice con il "libro verde" e mettendo strumentalmente la questione sul piano dei cittadini oppressi, l'Italia non aveva grandi scelte alternative, né poteva svincolarsi dalla risoluzione Onu n. 1973 che avrebbe trovato applicazione, davanti a casa nostra, anche senza di noi, rimaneggiando ulteriormente il nostro non irresistibile peso geopolitico. Sarebbe stato meglio schierare i Tornado al fianco dei Mig libici e contro i caccia francesi, piuttosto che lasciarli a terra a marcire e veder sfrecciare aerei altrui sul nostro cielo.
E' la dura legge della politica estera che tutti nel mondo e per secoli hanno fatto, nessuno escluso, cercando di tutelare interessi nazionali e non già ponendo con ipocrisia fastidiosa mere questioni di carattere filosofico. Ma stavolta a farlo è stata l'Italia e aver sottratto alle multinazionali dell'energia un mercato quasi esclusivo di 60 milioni di utenti e uno tra i più efficaci sistemi industriali del pianeta ha fatto saltare la mosca al naso, come dimostra anche la solita spocchia francese, così simile a quella che - in politica interna - rende odiosa la sinistra alla maggioranza degli italiani.

Ai cugini francesi non basta aver interferito negli affari italiani, ora vogliono primeggiare, guidare loro la missione internazionale a 200 km dalle coste della Sicilia, ripescano la vanagloria e la prosopopea bonapartista ed è forse per questo che non saranno mai leader di nulla e di nessuno.
E poi c'è un'altra "anomalia", il totale disinteresse con cui viene trattata la questione profughi, lasciandola nelle sole mani italiane. Non si tratta forse delle stesse persone meritevoli di aiuto e difesa dai miliziani di Gheddafi? Dunque, se non ho capito male, quelle persone sono meritevoli di aiuti umanitari, fino all'intervento militare, finché sono sulla terra ferma, ma quando si trovano in mezzo al mare e cercano la fuga dal rais, possono tranquillamente finire tra i pesci... L'ipocrisia non ha davvero confini. Intanto attendiamo con trepidazione analoga risoluzione Onu verso la Cina, per liberare i milioni di 'ospiti' dei Laogai (campi di lavoro forzato). Perché l'Onu la farà, giusto? E la Francia andrà a bombardare Pechino come nazione capofila, giusto? Dalle mie parti chi si accanisce contro armate straccione e si volta dall'altra parte di fronte a eserciti più poderosi e ben più efferati verso i civili li chiamano ... ... (provate voi a dare la definizione giusta). Viva l'Italia


FABIO RAMPELLI (deputato An - PDL)

domenica 20 marzo 2011

LA CACCIA AL TESORO LIBICA, MASCHERATA DALLA GUERRA DI VALORI


1911 - 2011.

esattamente 100 anni dopo la Libia è di nuovo sotto attacco.
Dopo aver seguito per parecchio tempo le vicende nordafricane seguite alle rivolte paicifiche nei paesi arabi, possiamo adesso affrontare una discussione che tocca parecchi argomenti,per meglio capire cosa sta succedendo nel nordafrica e per interpretare il nostro intervento in questo paese.

Partiamo dalla semplice spiegazione degli eventi, che sono molto più chiari di quel che sembra. Non dobbiamo innanzitutto cadere nell'errore di dire che "Gheddafi è un dittatore sanguinario che bombarda la sua gente e non ubbidisce all'Onu", perchè questa è una considerazione che nasce da una conoscenza parziale dei fatti.

La Libia è uno stato sovrano, e gheddafi era riconosciuto dall'intera comunità internazionale come indiscusso capo di stato libico, senza alcun tipo di opposizione organizzata interna nè, tanto meno, senza alcun tipo di resistenza armata da parte delle varie tribù che compongono lo stato nordafricano.

In seguito alle rivolte fatte scoppiare in Tunisia ed Egitto, anche in Libia l'ondata "risorgimentale", come da qualcunoi è stata definita, ha provato a scardinare il potere del colonnello gheddafi in pochi giorni, e subito tutte le nazione europee avevano, affrettatamente, scommesso sulla caduta del dittatore libico, senza però considerare la potenza militare di quest'ultimo.
Per quanto gheddafi non fosse uno stinco di santo, negli ultimi dieci anni almeno faceva comodo a tutti, Francia compresa, viste le enormi riserve di petrolio contenute sotto il deserto e vista l'importanza nella lotta all'immigrazione clandestina assunta dalla Libia.

Ma Gheddafi rappresentava anche un potere incontrollabile, di cui i governi occidentali non potevano disporre a loro piacimento per gestire petrolio e gasdotti; questo spiega come mai gli stati europei abbiano subito appoggiato i ribelli, isolando il compagnuccio d'affari gheddafi, per poterlo evidentemente rimpiazzare con qualcuno di più manipolabile.
L'intervento militare, dal punto di vista di Francia e Inghilterra, si è reso quindi necessario perchè ormai il dado era tratto: se Gheddafi avesse sconfitto i ribelli, alla luce delle dichiarazione degli stati europei, ogni tipo di collaborazione con loro sarebbe stata preclusa. Cosa fare quindi? Semplice, aiutare i ribelli ad andare fino in fondo, abbattendo il "tiranno".

L'Italia in tutto questo è stata cauta fin da subito, al di là degli obblighi minimi di facciata che le imponevano l'appartenenza al'UE, alla Nato e gli accordi reciproci con gli alleati occidentali. Gheddafi non era maniponabile per noi, ma AVVICINABILE, e dal 2008 ad oggi i frutti di questo avvicinamento si sono visti più che con qualsiasi altro stato europeo: sbarchi di clandestini dimunuiti quaso del 100%, importanti accordi per lo sfruttamento del petrolio, commesse statali libiche alle nostre Finmeccanica e Impregilo per opere pubbliche in loco, e così via. Affari per miliardi di €, che facevano dell'Italia il primo partner economico libico in Europa.
E poco importa se abbiamo dovuto riconoscere i "mali" del colonialismo italiano in Libia: meglio accantonare un periodo con luci e ombre (secondo noi con più luci che ombre) che ormai non è più sentito dall'opinione pubblica, per soddisfare le nostre esigenze attuali e future: l'appovigionamento energetico e la lotta all'immigrazione clandestina.

Adesso però l'Italia è minacciata, paradossalmente, dai suoi stessi alleati della Nato. Gheddafi, per quanto fosse canaglia, ha sempre rispettato i patti con l'Italia, attirando su di noi le invidie di Francia e Inghilterra, che ora non aspettano altro che cacciare gheddafi, mandare a monte i nostri accordi economici e sostituire le loro aziende alle nostre nello sfruttamento del petrolio libico.

L'Italia ha quindi dovuto muoversi nel partecipare a una guerra che non voleva, nè sentiva moralmente necessaria, per poter conservare i privilegi acquisiti in Libia.

Una vera e propria caccia al tesoro insomma; tutti alla ricerca delle risorse energetiche libiche, ovviamente mascherate dal problema fondamentale del "rispetto dei diritti umani".
Giusto per specificare, Gheddafi non bombarda il suo popolo, che anzi supporta il colonnello, ma bombarda le fila dei ribelli, composti per lo più da NON LIBICI, per riprendersi legittimamente il controllo del proprio territorio statale.

Non è frose prerogativa esculisva e assoluta di uno Stato sovrano il monopolio della forza militare entro i suoi confini? Le forze lealiste al colonnello combattono contro un fronte di ribellione non ben definito, poichè i "ribelli" non sappiamo esattamente chi siano e cosa vogliano, composto da molti combattenti stranieri, che godono del supporto della comunità internazionale, supporto che adesso si fa anche militare, con una insopportabile ingerenza straniera nei fatti interni di uno Stato sovrano.

In Questo conflitto non c'è assolutamente niente di valoriale: Gheddafi andava bene a tutti fino a due mesi fa, ma adesso appena il suo governo vacilla un po', ecco che gli sciacalli occidentali entrano in azione, cercando di dare la spallata finale a uno dei pochi personaggi del mondo non controllabili direttamente. Ma come, adesso è un dittatore feroce, mentre due mesi fa no? Suvvia, non fatemi ridere..

Regimi sanguinari esistono in ogni parte del mondo, vedere per informazioni le voci Corea del Nord, Cina, Cuba, Sudan.. Eppure la guerra arriva in Libia, come mai?

La caccia al tesoro libica si concluderà con Gheddafi spodestato, con l'Italia beffata dagli "alleati" non appena tenta di crearsi una politica estera ed energetica indipendente dai voleri di USA e Nato, che ormai ci trattano come una colonia, e con la Libia che diventerà, senza alcuna forza democratica organizzata pronta a prendere il potere, una nuova Somalia.

In uno scenario distrutto dalla lotta tra tribù ostili tra loro, che fino ad adesso solamente Gheddafi era riuscito a tenere a bada, saremo noi italiani, che vedremo compromessa la nostra penetrazione economica, ad avere la peggio, insieme ovviamente al popolo libico, che sarà bombardato dalla Nato e che probabilmente cadrà nelle mani dei Fratelli Mussulmani, che non aspettano altro che propagandare le loro idee fondamentaliste anti occidentali in tutto il nordafrica, finora considerato terreno poco fertilo per l'integralismo islamico (anche grazie a Gheddafi che non ha mai permesso il diffondersi delle idee fondamentaliste).

Francia e Usa sono così stupide che sono quasi riuscite a far passare Gheddafi dalla parte del giusto insomma, costringendo l'Italia ad una guerra non voluta, e attaccando il colonnello in un modo assurdo, impedendogli di ristabilire l'ordine nel suo Stato.

lunedì 14 marzo 2011

Auguri Italia, terra di mezzo contrassegnata da eccessi e opposti


"In vista del suo compleanno, provo a disegnare un ritratto senza retorica del l’Italia presente. Evito i fumi, punto sui dati reali e prendo lo spunto dai nostri odierni primati. Procedo per coppie di fatti,all’apparenza opposti. Dunque, co minciamo dal ritratto biologico. Siamo il paese più longevo d’occidente e il pae se che fa meno figli nel mondo. Un re cord positivo ed uno negativo, anche se qualche spirito apocalittico potrebbe ro vesciare il giudizio e dire che è male un paese di vecchi ed è bene non mettere al mondo altre creature. Siamo con la Ger mania il paese con la percentuale più al ta di anziani. Sulla denatalità c’è una lie ve risalita di recente, ma restiamo i più avari di figli. Come leggere questo dop pio dato? Da un verso che, tutto somma to, abbiamo una buona qualità della vi ta, e nonostante i problemi sanitari e civi li, ce la passiamo bene e non facciamo figli anche per non turbare questo benes sere.

E dall’altra parte siamo egoisti, o forse solo egocentrici, non pensiamo al futu ro e siamo concentrati sul presente, sul nostro io e sulle nostre comodità. Seconda coppia di fatti. Siamo il paese col più alto tasso di proprietari di case e siamo il paese a più alta densità di cellu lari pro capite. Abbiamo il primato degli immobili e dei telefoni mobili. Il primo proviene dalla nostra matrice antica e re­alista che ci lega al mattone e alla terra rispetto al capitale finanziario; è il no stro familismo atavico che si fa focolare domestico, è il nostro mammismo ende mico che si fa utero abitativo.

Il secondo dato sembra il suo contrario ma non lo è. Nel record di telefonini c’è tutta la nostra vocazione alla chiacchiera e allo sfogo, la voglia di prolungare la casa anche fuori casa, la nostra paura della solitudine e la nostra preferenza per la cultura orale. Il telefonino, benché cordless, è un cordone ombelicale invisibile con mamme, fidanzate, amanti e amici. Abbiamo anche un vecchio primato di case mobili, ovvero di auto pro capite, che ci contende solo il minuscolo Lussemburgo. Ma non dimentichiamo che eravamo sudditi del regno Fiat.

Terza coppia di primati: siamo noti nel mondo come il paese della dolce vita e insieme come il paese della malavita. Siamo primatisti mondiali nella qualità della vita, aiutati dal clima, dalle bellezze dei luoghi naturali e culturali e dall’amabile vita dei centri storici. E rendiamo lieve la vita col senso del comico e l’allegria conviviale. Difetta il senso della comunità, ma non quello della comitiva. Ma siamo anche il paese che ha esportato al mondo più di ogni altro anche le comitive malefiche: la mafia, la camorra e la ’ndrangheta. Persino il lessico per indicare la malavita nel mondo è di provenienza nostrana; si parla di mafia russa, cinese o kosovara.

Quarta coppia di fatti italiani da primato mondiale: siamo il paese con più leggi del mondo e con meno osservanza della Legge e più vertenze giudiziarie a testa del mondo. Le due cose non sono scollegate. Da un verso proveniamo dalla più alta e sofisticata civiltà giuridica al mondo, la romanità; dall’altro i tempi biblici dei nostri processi, il tasso record d’impunità, la vocazione di attaccabrighe, la capienza inadeguata delle nostre carceri, la selva di leggi nella foresta oscura dell’illegalità dimostra una cosa: siamo la culla del diritto ma anche la bara. La culla del diritto è a due piazze, ha un diritto e un rovescio per una coppia di gemelli: il diritto e il dritto, ossia Romolo e Remo-contro.

Forse siamo il paese più intelligente del mondo, di certo siamo il paese più furbo. E siamo il paese con la più viva fantasia e individualità. Ma qui è difficile dimostrarlo con dati statistici, perché il terreno è vago, fluido e mutano i parametri: tuttavia l’impressione è assai diffusa, e non solo da noi. Lascio perdere gli altri primati mondiali e spesso ereditari, in cucina e nella lirica, nella moda e nei beni artistici, nel design e nel business del calcio. Questa è l’Italia, e vorrei dire l’Italia tutta, sommando le sue tante differenze, locali e caratteriali. Siamo un paese con molto umor proprio. Un paese disegnato già dalla geografia per essere cullato e per crescere egocentrico e speciale: vedetelo nella culla mediterranea, col suo corpicino umano che si stende al centro del mondo, ben delineato dai mari e dall’arco alpino.

L’Italia è una persona, anima e corpo. Patria e Matria, nutria e nutrice. Infine l’Italia è un paese di cui si possono dire due cose opposte: è il paese della guerra civile permanente tra due Italie che si detestano da secoli, ed è il Paese del compromesso strisciante e incessante, dove si trova sempre una via di mezzo, un accordo sottobanco, tra il bianco e il nero, il credente e l’ateo, il padano e il terrone, la regola e l’infrazione, il liscio e il gasato. Infatti da lungo tempo siamo in coma volontario: non ci decidiamo a risvegliarci o a finire e sopravviviamo lungodegenti nella via di mezzo. "


Di Marcello Veneziani

UNA CIVILTA' LUNGA SECOLI..


BUON COMPLEANNO ITALIA!

mercoledì 9 marzo 2011

UNITA' D'ITALIA SI, (MA SENZA MENZOGNE)

PUBBLICHIAMO L'ARTICOLO SCRITO PER PLUS ULTRA WEB DA UN RAGAZZO DELLA GIOVANE ITALIA SICILIA.


La querelle sul 17 marzo non è stata edificante. Dibattere sull’opportunità di festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia in base al dato economico è stato francamente mortificante. Ma dietro le provocazioni leghiste si cela un sentimento molto radicato, da nord a sud, di insofferenza rispetto a certa “esaltazione acritica di un patriottismo parolaio” ben descritta da Giordano Bruno Guerri. Intendiamoci, la stragrande maggioranza degli italiani non mette in dubbio il valore dell’unità nazionale ma, dopo 150 anni, non si può pensare di rinvigorire negli italiani l’amore per la patria con i racconti del libro Cuore o con aneddoti eroici dimenticando il vero corso della storia. Una storia fatta anche di intrighi massonici, di stermini e di saccheggi, in particolare ai danni delle popolazione del meridione. Il sud fu teatro della “prima guerra civile italiana” (a nord si svolse la seconda e ben più grave tra il 1943 ed il 1945) tra italiani del settentrione e del meridione.
Altro che “fratelli d’Italia”, prima e dopo il 1861 al sud si fronteggiarono giovani italiani in una lotta fratricida.

Quei “piemontesi” e quei “briganti” furono però vittime della classe dirigente dei vari regni preunitari, accomunata dalla stessa miopia politica. Già nel dibattito dei primi decenni dell’ottocento c’era la consapevolezza che la condizione prioritaria per arrivare ad un’unificazione giusta, accettata da tutti, era costruire una confederazione italiana di Stati sovrani, senza alcuna prevaricazione da parte di una corona sull’altra. Questa ipotesi fu ad un passo dalla sua realizzazione. Saltò tutto per colpa della scarsa lungimiranza di Francesco II di Borbone. Poi la storia è nota: Cavour, pur ritenendo inizialmente l’unità nazionale una “corbelleria”, si rassegnò cinicamente all’idea di “piemontesizzare” tutta l’Italia; Garibaldi invase la Sicilia con l’appoggio della flotta britannica e la sostanziale corruzione delle più alte gerarchie dell’esercito regolare del Regno delle Due Sicilie. Per “convincere” le popolazioni del meridione della bontà del processo unitario, il neonato Stato emanò la legge Pica del 1863 con la quale impose lo stato d’assedio, trasferì i poteri ai tribunali militari, utilizzò lavori forzati e fucilazioni, sospese ogni garanzia costituzionale.


Eppure, nonostante i tanti errori di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze, senza il Risorgimento non si sarebbe arrivati a realizzare il sogno manzoniano dell’Italia “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”. Quell’unità malfatta, con i conseguenti rancori tra nord e sud, furono in parte superati nel fango delle trincee del Carso e dell’Isonzo durante la prima guerra mondiale. Lì non c’era tempo per dividersi, per rinfacciarsi le colpe dei padri. C’era la patria da difendere, la voglia di riscattarsi dopo Caporetto. Bisognava sforzarsi di parlare l’italiano per comprendere gli ordini. Tedeschi e austriaci stavano per dilagare nella penisola, bisognava fare scudo con i propri corpi sul Piave. Siciliani, romani e veneti piangevano per i propri commilitoni uccisi e gioivano per le vittorie. Fu il cameratismo delle trincee a creare il collante nazionale. Questa è la verità che il compagno Benigni non può dire a Sanremo.

A Vittorio Veneto si consacrò l’unità reale delle genti italiche. Ma si trattò solo di una “rinascita”. L’Italia non è infatti nata nel 1861, o nel 1918 o addirittura nel 1946. Per capire quando è nata la nostra patria dobbiamo scomodare un grande letterato russo, Fedor Dostojevskij, che scrisse nel suo Diario di uno scrittore: “Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale e, quando non lo comprendevano, lo sentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale”.

Da palermitano critico verso il Risorgimento dico che bisogna superare gli antichi risentimenti e celebrare insieme l’unità ritrovata. E allora festeggiamo il 17 marzo, ricopriamo le città di tricolori, suoniamo e cantiamo l’inno anche senza un pallone da calcio. Ma spieghiamo, soprattutto alla gioventù italiana, che la nostra patria, la terra dei padri, ha una storia nobile molto più antica degli ultimi 150 anni. Spieghiamo agli italiani di Bolzano e di Palermo che, parafrasando il professore Tommaso Romano, lo spirito italiano è pre-politico, genetico, linguistico e affonda le sue radici nella romanità, nella cultura greco-latina e nel medioevo cristiano. Tale spirito, sempre secondo Romano, è da ascrivere all’ethos della “nazione spontanea”, una dimensione profonda che sedimenta nella coscienza i tratti della tradizione di un popolo. Solo così potremo vincere le sterili provocazioni della Lega.

Mettiamo quindi da parte le misere esaltazioni patriottarde condite da menzogne storiche, parliamo dell’Italia vera. Vedrete che i tricolori sventoleranno orgogliosamente ancora più in alto.


Mauro la Mantia

www.plusultraweb.it

martedì 8 marzo 2011

8 MARZO: quale festa per le donne?


Escort, veline e queste moderne femministe sono tutte figlie della stessa cultura

Come ogni anno, l'8 marzo risveglia nelle donne gli antichi fermenti del femminismo sessantottino. Alcune sono ancora intente a trovare la loro liberazione sessuale dentro un locale di striptease maschile, mentre le altre, quelle apparentemente più fedeli ai dettami del '68, scendono in piazza per denunciare, oggi come ieri, la supremazia maschile sulle donne, continuando la loro opera di informazione femminista dai giornali e dai luoghi di potere. Gli slogan e le rivendicazioni sono lo stesse di quarant'anni fa. L'evoluzione sociale e la condizione femminile sembrano essersi fermate a quegli anni.

Per queste post-femministe la società è ancora specchio delle gerarchie maschiliste, che soffocano la libertà delle donne, attraverso pregiudizi, tabù e famiglia. L'unica cosa che, però, sembra essere cambiata, oltre all'età di queste non più giovanissime manifestanti, è la sostanza dei loro slogan, il background del loro slancio ideale. Se, infatti, ancora oggi, queste donne gridano che la loro rivalsa può essere raggiunta solo attraverso la liberazione sessuale, essa adesso veste nuovi panni. Non è più quella liberazione sessuale, trasformatasi inevitabilmente in disponibilità sessuale. Le femministe si sono oggi riscoperte moraliste. Un buon numero, infatti, di quelle ragazze che dicevano nel loro manifesto di Rivolta femminile di “accogliere la sessualità in ogni sua forma” e teorizzavano l'amore libero, oggi hanno raggiunto altissimi posti di potere ed invece di portare la “fantasia al potere”, vi hanno portato un moralismo tanto ipocrita quanto contraddittorio.

Troviamo oggi tutte queste femministe pronte ad accusare di immoralità certe donne e puntare il dito verso atteggiamenti “moralmente sconvenienti”. Vengono gettate alla gogna quelle ragazze che vendono il loro corpo a uomini potenti, quelle ragazze che decidono coscientemente di mettere in mostra il loro corpo e lavorare grazie ad esso.

Ieri le mogli e le madri, oggi escort, veline e vallette varie diventano l'obiettivo primario contro cui si scagliano queste post-femministe, solo oggi pronte a criticare quel mercimonio del corpo femminile, che loro stesse hanno creato ed incentivato.

Tutte queste donne sembrano aver dimenticato le loro lotte condotte in piazza, dimenticano di avere a lungo professato un tipo di sessualità finalizzato all'esclusivo soddisfacimento dei bisogni fisici, un amore consumistico, usa e getta, privo di qualsiasi implicazione sentimentale, dimenticano di aver portato avanti lotte per la depenalizzazione dell'aborto, visto come un mezzo per poter finalmente vivere questo falso amore senza alcuna conseguenza, dimenticano di avere lottato contro quei nuclei sociali tradizionali, come la famiglia, vista come riduzione della donna a personale domestico ed oggetto da riproduzione, ed il matrimonio, interpretato come forma di prostituzione legalizzata, dimenticano, insomma, tutto il loro passato...

Eppure escort, veline e queste moderne femministe sono tutte figlie della stessa cultura e per di più le prime sono riuscite a realizzare l'utopia sessantottina. Ieri bruciavano i reggiseni in piazza, in segno di liberazione sessuale e teorizzavano l'amore libero, oggi mettono in pratica gli insegnamenti delle loro madri. Infatti, non soltanto particolari categorie perseguono questi insegnamenti. Si tratta anche di normali ragazze, che sono cresciute con il mito della libertà sessuale. I piaceri ed i corpi sono considerati secondo una logica consumistica. Partner sempre diversi vanno accumulati per dimostrare la propria libertà sessuale e, forse, per colmare i vuoti provocati dalla demolizione della famiglia.

Le escort e le ragazze che in vario modo vendono il loro corpo sono ragazze che decidono liberamente di usare la propria sessualità a proprio vantaggio. Hanno raggiunto la tanto agognata libertà sessuale, non sono più vittime dei pregiudizi sociali e dei tabù. Sono le figlie dello slogan “Il corpo è mio e me lo gestisco io”.

Eppure oggi le post-femministe si vergognano delle loro figlie e si rifiutano di ammettere a cosa hanno portato le loro teorizzazioni. Hanno ottenuto ciò che volevano: hanno distrutto la famiglia, tolto valore al matrimonio e reso libera sessualmente la donna, ma non sono soddisfatte dei loro stessi insegnamenti.

A distanza di quarant'anni hanno rinnegato le loro teorizzazioni, capendo che la loro utopia femminista, più che liberare la donna, conduce alla sua autodistruzione.

La rivoluzione sessuale ha portato le donne ad essere nuovi oggetti sessuali, oggetti sessuali coscienti ed accondiscendenti. Ogni tipo di messaggio è rivolto al corpo femminile. Quel corpo che viene visto come l'unico mezzo per raggiungere la felicità, attraverso diversi modi di offrirsi.

Quel femminismo esasperato, visto solo in termini di contrapposizione uomo-donna e non in termini di integrazione sociale, ha visto anche la nascita di quell'aberrante fenomeno dell'uguaglianza indiscriminata fra uomo e donna.

Uomo e donna non sono da considerarsi esseri naturalmente diversi, con diverse inclinazioni e diverse strutture mentali, ma con pari diritti e dignità, vanno, piuttosto, visti esattamente uguali, e, proprio come auspicava il femminismo sessantottino, le categorie sessuali vanno totalmente cancellate. Questa assurda deriva femminista non ha fatto altro che generare donne travestite da uomo, donne che pretendono di occupare tutti i posti di lavoro occupati dagli uomini, senza dimostrare sul campo la loro superiorità lavorativa e donne in carriera che vedono nella famiglia e nella maternità solo un ostacolo alla loro realizzazione professionale.

Il femminismo si è perfettamente realizzato nella “mistica della seduzione”, nella capacità di usare il proprio corpo per realizzarsi. Tutto ciò altro non è se non la naturale conseguenza di quel femminismo, ma solo oggi quelle donne si sono rese conto delle aberrazioni che hanno creato con le loro idee. Oggi cercano di riparare ai danni provocati, ma sarebbe preferibile che per fare ciò si spogliassero definitivamente di quella cultura sessantottina, invece di vestire il femminismo di contraddittorio moralismo.



Valeria Mannino

www.plusultraweb.it


lunedì 7 marzo 2011

COSE PER CAMBIARE: LA GIOVANE ITALIA PER IL COMUNE DI VARESE!

Tutta la comunità militante supporta GIACOMO COSENTINO detto COSE, che sarà il candidato della GIOVANE ITALIA per il comune di Varese, nelle liste del PDL.

Potete visualizzare il suo breve, ma intenso percorso politico sul suo sito, insieme alla rassegna stampa di tutto quello che COSE e CLERICI, il nostro presidente provinciale, hanno fatto per Varese in questi anni da consiglieri.

www.cosepercambiare.com

pagina Facebook

Cose lavorerà sul territorio, con gazebi e volantinaggi, per presentare il suo programma elettorale a contatto con la gente, anche nei quartieri periferici; d'altronde è tradizione della nostra Destra l'essere a contatto con la gente, con il popolo, che vive e fa vivere la città. Al fianco dei più deboli, con attenzione al sociale, all'ambiente e con la Patria come primo valore.

Inoltre all'interno del programma elettorale saranno portate tutte le proposte scaturite da incontri che Cose sta promuovendo con professionisti e studenti, divisi in 3 argomenti:

STUDENTI UNIVERSITA' INSUBRIA


REALTA' ASSOCIATIVE


PUBBLICHE RELAZIONI


PROFESSIONISTI


COMMERCIO E GIOVANI IMPRENDITORI



Le proposte che sono state elaborate, provvisioriamente, dopo i primi incontri, a cui hanno partecipato ragazzi anche non coinvolti direttamente nel nostro movimento giovanile e politico, per sottolineare il nostro impegno per la collettività, sono state queste.

STUDENTI INSUBRIA
-miglior gestione dei servizi universitari dedicati agli studenti
-esigenza di un accentramento delle varie facoltà
-sistemazione strade di accesso e parcheggi nella sede di via rossi
-iniziative indirizzate a tutti i cittadini finalizzate al rilancio dell’immagine


PUBBLICHE RELAZIONI ED EVENTI
-prolungamento degli orari dei concertini musicali (dj e musica dal vivo) nei fine settimana fino alle ore 2.00 laddove non rechino eccessivo disturbo alla quiete pubblica
-organizzazione di eventi generalisti (sull’esempio della “Notte bianca”) in collaborazione coi commercianti locali
-istituzione di un’associazione di categoria “pubbliche relazioni varesine” per presentare proposte, organizzare iniziative e calendarizzare gli eventi.


REALTA' ASSOCIATIVE:

Sicurezza
-istituzione di una volante della polizia locale nel centro della città durante i week-end estivi fino alle 4 di notte;
-organizzazione all’interno delle scuole medie di corsi gratuiti di difesa personale per ragazze

Commercio
-progetti finalizzati alla valorizzazione dell’artigianato

Rapporti col cittadino
-assicurare il rapporto diretto tra amministratori locali e cittadini attraverso nuovi strumenti

Urbanistica
-riduzione costo parcheggi con particolare attenzione agli studenti (nei parcheggi automatizzati utilizzo di apposita tessera)
-aumento parcheggi disabili
- prosecuzione del piano abbattimento barriere architettoniche

Lavori Pubblici
-sistema di monitoraggio più efficiente per verificare strade sconnesse
-potenziamento illuminazione pubblica
-sistema più efficiente per la manutenzione di strutture pubbliche (es.scuole, parcheggi)

Sport
-potenziamento e ristrutturazione strutture esistenti e controlli sulle modalità di utilizzo: priorità pala ghiaccio – piscina -stadio
- rilancio dello sport varesino attraverso l’organizzazione di eventi sportivi che coinvolgano principalmente le società presenti sul territorio
-grandi eventi sportivi annuali (es.galà internazionale kickboxe)
-“sport in piazza”, eventi con diverse discipline per promuovere associazioni sportive e avvicinare i più giovani allo sport

Cultura
-interventi finalizzati ad aumentare i servizi offerti dall’aula studio presente nella biblioteca comunale




Potete fare liberamente i vostri commenti e proporre altri punti da valutare direttamente qui, oppure su facebook sulla pagina del progetto COSE PER CAMBIARE.

La Giovane Italia avanza! Nessuna barriera ci potrà fermare!

mercoledì 2 marzo 2011

IL DECALOGO DEI PATRIOTI

Pubblichiamo il DECALOGO DEI PATRIOTI, iniziativa promossa dai ragazzi della Giovane Italia aderenti alla rete Identità e Libertà.

IL PATRIOTA


E' ORGOGLIOSO DI ESSERE ITALIANO, E DISPREZZA CHI DENIGRA L'ITALIA ALL'ESTERO

AMA LA SUA BANDIERA

VUOLE CHE IL FEDERALISMO SERVA ALL'ITALIA


SOSTIENE L'ECONOMIA REALE E NON LA FINANZA SPECULATIVA

CREDE CHE L'IDENTITà SIA LA FORZA DI UN POPOLO

PROMUOVE IL MADE IN ITALY

ESALTA LA TRADIZIONE POPOLARE E LE NOSTRE RADICI CRISTIANE


CREDE NELLA POLITICA COME SERVIZIO ALLA PATRIA

VUOLE LA BELLEZZA COME DIMENSIONE ETICA DELLA VITA

VUOLE UN'ITALIA PROTAGONISTA NEL MEDITERRANEO, IN EUROPA E NEL MONDO

martedì 1 marzo 2011

LETTERA APERTA AL SINDACO DI MARNATE PER "VIA ALMIRANTE/RAMELLI"

“…per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio…”


Già nei Promessi Sposi, vicenda di 400 anni fa, Manzoni descrive la protervia con cui i prepotenti cercano con minacce di impedire azioni a loro non gradite. Ma oggi, a Marnate, di cosa ci meravigliamo?
Questa è l’Italia in cui, negli anni di piombo, i morti della Destra non avevano lo stesso valore dei morti di sinistra. Questa è l’Italia dei ragazzi del Fronte della Gioventù presi a sprangate solo perché affiggevano manifesti o distribuivano volantini. Questa è l’Italia dei fratelli Mattei, giovani ragazzi arsi vivi nella loro abitazione romana perché il loro padre era il Segretario di una piccola sezione del MSI.
Questa è l’Italia di Sergio Ramelli, studente milanese ucciso sotto casa il 29 aprile del 1975 da un commando comunista, con un colpo di chiave inglese sulla testa. Giovane liceale che si era permesso di scrivere in un tema che le Brigate Rosse erano di sinistra: condannato dalla stessa indifferenza dei suoi professori, ucciso una seconda volta dalla vergognosa e pavida decisione di uno Stato imbelle che negò ai suoi cari i funerali, perché avrebbero “turbato l’ordine pubblico”.

Questa è l’Italia dove uno scrittore e giornalista orgogliosamente di sinistra, ma intellettualmente onesto come Giampaolo Pansa, viene minacciato di morte e cacciato dal palco per avere riconosciuto in un libro gli orrendi crimini della sinistra nell’immediato dopoguerra. Questa è l’Italia dove l’Assessore Pisani – un giovane buono e generoso, geneticamente incapace di voler male a chicchessia – riceve una mail ed una lettera anonima in cui, con vecchi e stantii slogan antifascisti, viene minacciato di morte solo per aver chiesto l’intitolazione di una strada a Giorgio Almirante. Questa è l’Italia in cui un Sindaco, ricevendo una manciata di mail contrarie alla medesima decisione (quasi tutte inviate dallo stesso computer…), si spaventa e, per accontentare una sparuta minoranza intollerante, preferirebbe scontentare la stragrande maggioranza dei suoi elettori.

Pensaci Sindaco, Giorgio Almirante insegnava ai suoi “non odiate”.
Loro odiano.
Odiano perché orfani della loro ideologia sconfitta dalla Storia.
Odiano perché costretti dalla mancanza di idee all’intolleranza.
Odiano perché l’odio è l’unica ragione che riesce a unirli.
Pensaci Sindaco, cedere all’intolleranza è sempre una sconfitta.

Diversamente da loro, noi non vogliamo dividere. Noi vogliamo che sia finalmente superata la divisione sanguinosa e dolorosa di una Storia ormai lontana. Per questo riteniamo giusto intitolare una via ad Almirante. In un Paese dove già esistono via Gramsci e via Togliatti. Almirante insegnava “avversari politici, non nemici”. Io ti conosco bene, Sindaco, so quanto sei oggi turbato. Voglio allora aiutarti con un suggerimento. Proponi alla tua Giunta una modifica. Chiamatela VIA SERGIO RAMELLI.

Almirante ne sarà contento, avrà vinto. Uno dei suoi ragazzi tornerà a vivere nella memoria di chi con lui ha fatto politica ed è sopravvissuto alla follia di quegli anni maledetti: ragazzi ora uomini che potranno aiutare i giovani di oggi a ricordare, per far sì che quella violenza non torni mai più.
Piuttosto che vedere un cartello VIA ALMIRANTE, continuamente oltraggiato e danneggiato dall’intolleranza violenta di chi non vuole accettare il confronto civile e pacifico, preferisco vedere un cartello che ricordi il sacrificio di Sergio e pensare, dentro di me, con un sorriso: “via Ramelli, già via Almirante…” (perché per pochi, ma significativi giorni, comunque lo sarà stata)

Marco Airaghi - Presidente provinciale Destra del Popolo Varese